Corriere della Sera (M. Ferretti) – La costante della Roma è essere incostante. E pure scostante, talvolta. Nel gioco e, di conseguenza, nei risultati. Una volta bella, un’altra brutta o viceversa, spesso addirittura durante la stessa partita. Non sai mai che Roma farà. Questione di giocatori più che di gioco, dato che José Mourinho sotto quest’aspetto, dicono, lascia fare. Se i singoli azzeccano la prestazione, la Roma diventa una squadra godibile; se la steccano, è inguardabile. La Roma va a giocate. Che è un modo singolare di fare calcio ma non è caratteristica blasfema.
Il primo tempo offerto contro l’Udinese è stato praticamente perfetto sul piano del gioco, però siamo ancora qui a ricordare la giocata che ha portato al gol di Dybala. Lo stesso argentino a Ginevra ha steccato sul piano tecnico e la squadra è sembrata tatticamente sprovveduta. Ma è tutto giusto così? A voler essere cinici, non conta il mezzo ma il fine. Far gol. Vincere le partite.
E, qui, torna d’attualità la domanda più gettonata degli ultimi anni: cosa significa giocare “bene“? Proviamo: far divertire la gente? La gente si diverte quando vince, in realtà. Superare l’avversario sul piano della tattica? Certo, a patto che la tattica sia supportata dalla tecnica, sennò te la dai in faccia. In altre parole, è la qualità individuale a esaltare quella collettiva. E più giocatori qualitativamente bravi hai e più la squadra è forte. Anche se gioca “male”. E la sintesi della carriera di Mourinho, se ci riflettete.
Chissà che Roma farà oggi a Reggio Emilia…