Pagine Romaniste (F. Castellucci) – Che il calcio italiano abbia perso l’appeal dei primi anni 2000 è chiaro a tutti. I grandi nomi, che una volta vedevano l’élite nella Serie A, non ci sono più. Basti pensare alla clausola di Messi ai tempi del Barcellona, che indicava i maggiori campionati europei, ad esclusione del nostro. Cosa è cambiato da allora?

La stagione appena conclusa ha visto tre squadre italiane conquistare le finali, ma nessuna di esse vincere il trofeo. Ad esclusione della Roma, vincente nella prima edizione della Conference League, un trofeo europeo manca in Italia dal 2010. Da allora: finali perse, eliminazioni in fasi prestigiose, ma concretamente successi zero. Senza scendere nel discorso Nazionale, vincente all’Europeo, ma assente due volte di fila al Mondiale. E pensare che l’Italia nella sua storia aveva saltato una sola volta la competizione più importante.

A conferma di ciò, le parole di Malagò: “Le finali delle italiane sono state inaspettate”. Indubbiamente ci sono state, ma con sorteggi molto positivi durante la creazione del cammino delle rappresentati del tricolore. Oltre ad avere un deficit nei confronti della Premier League, come lo stadio di proprietà, le disponibilità economiche sono scese drasticamente. A livello di ingaggi in primis, nel pagare i cartellini poi.

Ad oggi la Serie A è un trampolino di lancio per i giovani, Kluivert ad esempio disse di esser venuto a Roma, con la prospettiva di arrivare al Barcellona poi. Diventa molto difficile in questo presente, permettersi di tenere i propri top, mentre all’estero quando un giocatore non rende si compra un sostituto di valore uguale o maggiore. Nel 2007, Silvio Berlusconi, presidente del Milan ai tempi, sollevò il problema, ma non fu ascoltato nel profetizzare che la Premier League prima, gli arabi poi, avrebbero decentrato il calcio.

Per soffermarci sui conti, il caso plusvalenze che ha smosso il Campionato, portando alla penalizzazione della Juventus, deve far riflettere. Per essere competitivi, si è trovato l’inganno alla legge, che ancora oggi, nonostante una sentenza, non ha norme fissate per i club. E mentre ci sono squadre che spendono oltre 600 milioni in due sessioni di mercato, altre si arrangiano per fare entrate di 30 milioni per evitare sanzioni. Mentre in altre leghe i diritti tv sopperiscono a tutti questi problemi, arrivando anche a triplicare gli incassi della A. Nonostante l’esodo dei giocatori, i conti non tornano mai, ma come è possibile? Smantellata una rosa che poteva permettersi Rudiger, Salah, Alisson, Dzeko, Nainggolan e avere ancora problemi finanziari.

Sostanzialmente, il Made in Italy resta sempre ambito nel mondo, Ancelotti allenatore del Real Madrid e prossimo allenatore del Brasile sono un esempio. Tonali in Premier League ne è la conferma. Ma poi rischiamo di avere talenti nostrani che non tornano più, Verratti è il caso più eclatante. Sono cambiati i valori del calcio, ora come in tutte le cose, il valore è calcolabile in denaro. E non avendo a disposizione liquidità, il mercato in Italia è fatto da occasioni, acquisti a parametro zero o giocatori meno utilizzati all’estero. I campioni arrivano solo in età avanzata nel nostro Campionato, o se corteggiati, scelgono sempre l’opzione estera a causa delle prospettive di crescita migliori.

La vera vittoria sarebbe quella di tornare ai fasti del passato, ai Totti e ai De Rossi, al Del Piero, al Marchisio e al Maldini. Ma forse nel presente del calcio, che migra sempre più verso il peso dell’oro arabo, la vera vittoria è quella di restare fedeli ai propri colori e ai propri ideali. Ma come possono sbocciare nuove bandiere, se da noi vanno in prestito fino al superamento dei 22-23 anni? Come possiamo trovare meraviglia successivamente, nei vari Mbappè, Haaland, Bellingham quando da noi i ragazzi giocano solo per necessità di rosa?

La risposta possiamo trovarla nei giudizi troppo affrettati: se un giocatore fa una partita buona si acclama al fenomeno. Il prezzo del cartellino viene gonfiato, soprattutto se mediaticamente supportato. Mentre se ha un periodo negativo è da scartare a priori, diventando croce e delizia. Un clima di lavoro disteso è difficile da trovare quando è più importante cercare il pelo nell’uovo, piuttosto che esaltare al successo. Il problema di fondo è la mancanza di nazionalismo, o di senso unitario. Tirando ognuno acqua al proprio mulino siamo rimasti soli, con noi stessi, a volte neanche con chi condivide i nostri ideali.

La Serie A sta affrontando un momento storico di passaggio, verso il peggio. Bisogna invertire la rotta, bisogna dare una scossa, per poter tornare ai fasti del passato. Se la crisi colpisce l’intero sistema, ne soffrono tutte le squadre, non escludendo la Roma stessa. Già aver dato appeal con l’arrivo di José Mourinho, acquisti di parametri zero di livello assoluto e il progetto stadio sono segnati forti. Non può sostentarsi l’intero sistema sulle spalle di poche squadre e quest’ultime non possono competere a livello mondiale con le attuali normative. Una scossa è necessaria per il calcio italiano.