La svolta della Roma testarda e matura nel segno di Spalletti

La Repubblica (M.Pinci) – Quando mancavano una manciata di minuti alla fine e Rigoni in fuorigioco terrorizzava Szczesny, è entrato in campo come per mettersi lui stesso davanti alla porta. O per divorare chi non l’aveva fatto. Certo che nella “cazzutissima” vittoria della Roma in casa del Genoa c’è tanto di chi l’ha dipinta così: Luciano Spalletti. Per Strootman “è un allenatore duro per un calciatore, un martello la settimana e la domenica in campo. Ma per questo è molto importante per noi“. Come a dire che il segreto della Roma di nuovo seconda da sola è tutto o quasi in quella spinta continua: la differenza tra la squadra di un anno fa che non vinceva più e quella di oggi tornata per qualche ora a respirare la scia della Juventus è probabilmente la pressione psicologica costante imposta da quel diavolo di allenatore. Dopodomani sarà un anno esatto da quando l’allora ds Sabatini salì in macchina e raggiunse la Toscana per chiedere a mister Luciano di salvare una squadra allo sbando: “Ho accettato perché non mi piaceva l’andazzo dentro la squadra – dice oggi – dove giocatori forti non davano quello che dovevano“. Un anno dopo la Roma è una bestia che somiglia da morire al suo tecnico, che può godersi pure la vittoria numero 150 sulla panchina giallorossa, anche se gli importerà poco assai.

A Marassi Juric aveva maltrattato la Juve, il Milan, la Fiorentina e fermato il Napoli. La Roma s’è presa il banco senza lasciargli nemmeno l’idea di poter uscire vincente. E sfruttando quello che capitava: un autogol ingenuo di Izzo, un mezzo rigore che Rizzoli non ha visto, un miracolo di Szczesny mentre metà squadra era già negli spogliatoi. Ha vinto come forse avrebbe fatto un gruppo più maturo di quanto non sembrassero Nainggolan e soci: “C’era da mettersi gli scarponi da lavoro e l’abbiamo fatto“, la sintesi di De Rossi. Nell’ultimo mese s’è presa i 3 punti quattro volte su cinque subendo solo due gol, uno quello decisivo di Higuain allo Stadium. Oggi la differenza tra Juventus e Roma è quasi tutta lì. I giallorossi quella con il Genoa l’hanno marcata invece giocando con le stesse caratteristiche dell’avversario, fisico, intensità. E affrancandosi pure dal sortilegio che ha trasformato Dzeko: in un mese, il miglior bomber del torneo ora è il più bravo di tutti a cogliere i pali, visto che con quello di Marassi sono già quattro. Ma domenica a Udine, quando perderà per squalifica Rüdiger e De Rossi, Spalletti gli darà fiducia ancora: anche così si allena la testa. Aggiungendo qualche messaggino in conferenza (“Questa squadra è difficile da rinforzare, al massimo possiamo rimpiazzare chi va via“) o puntando l’indice contro i “nemici” giornalisti, perché quando va tutto bene – lo diceva pure Mourinho – un nemico da combattere fa comodo. Quello di Juric invece è un nemico intangibile: la sorte. Che dopo Veloso gli toglie Perin: rottura del crociato sinistro, nove mesi dopo il destro. L’anno nuovo ha prodotto un Genoa vecchio: non anagraficamente – età media di 25 anni al via, meno di 22 il tridente – ma in termini di risultati. Quarto ko consecutivo, quinto in serie contro la Roma. Martedì arriverà un centrocampista, promette Preziosi: forse il brasiliano Gabriel. Difficile basti per cambiare l’aria che tira.

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