Dzeko ruggisce ancora. Roma, ottava sinfonia. Cola appeso a un filo

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La Gazzetta dello Sport (A.Elefante) – Forse la vittoria di ieri ha dato un senso ancora più compiuto allo sfogo di Spalletti dopo la sconfitta di Madrid: di questa Roma si fa davvero fatica a decifrare i limiti – teoricamente pochissimi – ma a volte anche a comprendere i cali di tensione che generano errori da distrazione, come quello che a 7’ dalla fine ha dato all’Udinese l’illusione di un pareggio mai nato. Come una tendenza intermittente a piacersi troppo, invece di pensare a vincere e stop: quando lo fa – come ieri per più di un’ora, ma con 20’ di interruzione – basta e avanza per trasmettere la sensazione di cannibalismo. Ed è ovviamente bastato per mettere ancora di più nei guai l’Udinese e Colantuono, confortati solo, con il Sassuolo e il Napoli all’orizzonte, dalla sconfitta del Frosinone: quella di ieri è la settima sconfitta nelle ultime undici partite, con una sola vittoria. La Roma invece ha messo in fila l’ottavo pieno consecutivo, quarto in trasferta, con tre gol di media a gara: con il pensiero dello scontro diretto in casa, impossibile fare di più per cercare di mettere pressione al Napoli in proiezione secondo posto.

MISMATCH – Ieri più che un match, soprattutto nel primo tempo, è stato un mismatch: l’Udinese ha dato un’impressione di inferiorità tale da rendere difficile capire se dipendesse da un atteggiamento tattico troppo rinunciatario, o da un gap di qualità insostenibile. Di sicuro una squadra così bassa, con cinque centrocampisti sempre schiacciati sui difensori, è stato il modo migliore per aiutare Dzeko ad avvicinarsi alla porta: proprio quello che serviva al bosniaco, che ha avuto quasi subito il premio per tante generosità pregresse quando su un assist (di destro…) di Salah l’Udinese si è come aperta, spaccata, e lui ha potuto guardare in faccia Karnezis per freddarlo. È successo al minuto 15, 11° gol giallorosso nel primo quarto d’ora (record del campionato) contro gli zero dell’Udinese, per dire della differenza di approccio. È successo esattamente quando gli ultrà bianconeri sono entrati allo stadio interrompendo la loro protesta: come se la Roma avesse voluto aspettare per mostrare a tutti come sa diventare una lavatrice in grado di centrifugare qualità a velocità massima.

PEROTTI UOMO CHIAVE – Prima e dopo il gol del vantaggio ha preso a schiaffi l’Udinese con tutto il suo repertorio, un traffico nella metà campo avversaria dove quasi nessuno mantiene sempre la stessa posizione, un tourbillon di tagli usato per esaltare le sue improvvise esplosioni di verticalità: i movimenti a fisarmonica di Salah e El Shaarawy, dalla fascia a stringere in mezzo non solo sulla salita dei terzini; il fosforo e le gambe dell’uomo chiave Perotti, che si esalta nella libertà dei movimenti da finto centravanti, ma se davanti ha un centravanti vero sa dove andarsi a mettere per aiutare lui, ma anche gli altri, a cercare la soluzione migliore; la disponibilità di tutti, anche e soprattutto i quattro davanti, a rientrare per aiutare.

IL PALO DI ZAPATA – Al di là del gol di Dzeko, che aveva già sfiorato il gol di testa dopo 3’, e di una chance per Perotti, almeno altre tre volte la Roma ha sfiorato la spallata. E proprio a causa della sua incapacità di darla, per capitalizzare quando avrebbe potuto, ha rischiato di doversi rimproverare ad inizio ripresa, quando l’ingresso di Zapata e un 433 un po’ più vero (e più adatto a Thereau e Bruno Fernandes) hanno finalmente fatto «alzare» l’Udinese. E così partorito gli unici 20’ di sfida non più impari, con doppia occasione per Thereau e per il colombiano (palo di testa) nel giro di un minuto. Un’illusione frustrata dal ritorno al potere della qualità della Roma, certificato al minuto 29: assist con il contagiri di Pjanic e 20 come un lampo improvviso, preparato da Florenzi con l’interno destro e segnato con l’esterno destro. La foto di questa Roma, un concentrato di talento collettivo consegnato ai piedi di un terzino: disposto a farlo anche se sa che è quasi blasfemo sentirsi definire tale.

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