Colpo di Reina e un secondo dura una vita

Corriere dello Sport (A.Giordano) Centoventitré secondi: il frammento d’una vita intera, il dettaglio (apparentemente) marginale d’una partita, persino il confine tra la vita (calcistica, s’intende) e la morte d’una stagione irrimediabilmente aggrappata a quel filo esile d’una carambola. Centoventitré secondi: è il respiro affannoso d’una parabola che sembra una sentenza, è lo sguardo disperato di chi osserva quella palla – una pallottola – che punta dritto al cuore, è la solitudine d’un numero uno – fa niente che porti il venticinque – mentre raccoglie muscoli ed energia in un fascio esplosivo e sceglie. Capolavoro: perché ciò che fino a ieri è definito il colpo di reni si trasforma nel colpo di Reina, ed è magia allo stato puro – per gli amanti del calcio – una frustata d’emozioni che si snoda lungo l’Olimpico e rapisce, in un modo o nell’altro, chi da lassù sta ad osservare fasciandosi la testa con le mani. «Ma cosa ha fatto?».

FENOMENO – Il talento è in quella capacità di restare sempre se stesso, lasciando che il venticello calunnioso della diffidenza resti ad un palmo dalla propria esuberanza, sistemando in quel fisico da bodyguard gli spifferi dissacranti su quell’età biologica ch’è indefinibile. Quarantasette minuti e cinquantasette secondi quando si atterra su Marte o anche il Blade Runner versione calcistica, perché ci sono cose che voi umani… La fionda che scaglia quella sfera carica d’effetto, sarebbe veleno, andrebbe verso la destra di Reina e la dinamica, nel tentativo potente ed elegante di Perotti, vuole inseguire la perfezione balistica impregnandola anche di potenza.

DA BRIVIDI – Ma la scena, ed è un film, un “corto”, assume i contorni suggeriti dalla perfida regia del destino, che trasforma quell’istante – altrimenti normale – in qualcosa di vagamente eccezionale, ergendo Reina ad eroe (ma mica per caso) d’una vittoria ch’è di Mertens, di Sarri, di chiunque ma innanzitutto la sua, d’un geniaccio smodato che s’è già liberato del peso d’un proprio errore su rilancio divenuto assist per la ripartenza Nainggolan-Salah… Ma è al minuto 47 ed al cinquantasettesimo secondo che la Storia di RomaNapoli vira come fa Pepe Reina, ormai (quasi) disteso, di certo poggiato sull’erba per andare sul palo lungo a sinistra: la sagoma prepotente esplode nella sua reazione istintiva e rabbiosa, perché intanto Koulibaly ha impresso una deviazione che sarebbe fatale, va su con la mano destra, insegue il pallone e lo trova, lo scaccia via, verso l’alto, sperando che arrivi in aiuto un patrono personale, lo scorge battere sulla traversa, lo rivede cadere dinnanzi a sé ma anche a Rüdiger e a Salah che stanno arrivando, con incedere “rapinoso”, ed ha un altro guizzo – e lo chiamano «vecchio» – che lucidamente l’ispira e gli suggerisce – avendo il corpo ormai all’indietro – di non tentare improbabili avventure ma d’allungare un piede, di buttarla via, in angolo o all’inferno, purché vada lontano. E’ un fermimmagine modello Match Point, perché vi parrà un istante ed invece dà la sensazione dell’eternità, con quel pallone che non sai dove finisca.

MIRACOLO – Centoventidue secondi, avendone percezione o forse no, certo avvertendo d’essere ad un battito di ciglia dalla vittoria, perché la lavagnetta del quarto uomo s’era ormai alzata da un bel po’: ma in quei frangenti, e non bisogna aver giocato al calcio per saperlo, le lancette pare facciano giri vorticosi, rallentano miseramente, sembrano nemiche diabolicamente decise ad accanirsi. E’ c’è un urlo – ed è di Diawara(«grandeeee») e poi un lamento, ed è quell’«ohhhh» prolungato della curva romanista, che sa di sorpresa ed anche di fatal rassegnazione ma anche di sportiva ammirazione. «Ma come ha fatto?».

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