Il Messaggero – “Via per stanchezza”

«Vado via, ma non ho fallito». Luis Enrique, anche al momento di chiamarsi fuori dal progetto, non tradisce la Roma di questa stagione. Fino in fondo a sua immagine e somiglianza. L’asturiano, anche a parole, si specchia nel rendimento altalenante del suo gruppo, una partita bene e una male, e dà di conseguenza versioni contrastanti sulla sua gestione tecnica, una vera e l’altra no. È il suo addio. Davanti a capitan Totti e alla dirigenza schierata, da Baldini a Fenucci, da Baldissoni a Tempestilli. A Sabatini che, per non mettersi troppo in mostra e lasciare la vetrina agli altri, presto si sposta nelle retrovie.
«Stavolta le regole le metto io. Se volete, parlo prima con il cuore e dopo al massimo cinque-sei domande… Dai, mettetevi d’accordo. Avete fatto? Sky sta aspettando? Sai che cosa me ne importa…». È il teatrino iniziale in diretta tv. «Inizio con una piccola critica». La riportiamo a parte. È il discorso fatto giovedì ai giocatori. «Tutto quello che è uscito sui giornali: è una bugia». Leggendo il testo, sono gli stessi concetti, tra l’altro confermati informalmente venerdì anche dall’Ufficio Stampa della Roma. E li ripeterà davanti ai microfoni. Luis Enrique non è commosso. È astioso, pure quando fa il simpatico. Ce l’ha con i media, con l’ambiente. «I giornali non li leggo, ma mi hanno riferito cosa avete scritto». A prepararlo, sulle possibili domande, è l’Ufficio Stampa che gli fa il punto, sugli articoli usciti, prima di ogni conferenza stampa.

Ringrazia subito la società e i giocatori: «È stato un grandissimo onore allenare la Roma. Non mi sono mai pentito di essere venuto qui, nemmeno nel giorno più brutto. La mia famiglia è stata felicissima di stare in questa bellissima città: ho dovuto convincerla io a lasciarla. Tant’è vero che forse resteremo altre tre-quattro mesi: per visitare meglio Roma visto che conosco bene solo il raccordo anulare».

«Io ho avuto il massimo rispetto dalla gente per strada». Luis Enrique sembra sincero. Pure quando aggiunge: «Me ne vado perché sono molto stanco. Ho dato il cento per cento, per questo non ho fallito, e la squadra è migliorata in tutto. Ma nemmeno con un mese di ferie riuscirei a riacquistare le forze per ricominciare. Se non le recupero come posso dare tutto me stesso alla squadra anche l’anno prossimo?». Conferma quanto detto da Baldini: «Nella prossima stagione sicuramente non allenerò». Orgogliosamente difende la sua idea di calcio. «Farò sempre una proposta offensiva, anche se curerò la fase difensiva. Ma io continuo a credere di essere adatto per il vostro calcio». Sospira: «Fidatevi, i dirigenti sceglieranno il tecnico giusto. Ma non dovrà soffrire come me».

Lievitano, a questo punto, le contraddizioni. Dopo aver negato il fallimento, ci ripensa: «Ho sbagliato. Non so in quale percentuale, ho commesso comunque molti errori». Dice di essere andato via per le tante energie spese, ma poi ricorda la contestazione del 25 aprile all’Olimpico (quella sera, gara con la Fiorentina, decise di andar via): «Sicuramente ci sono dei tifosi che non capiscono quello che ho fatto. Ma del resto ero stato chiaro: appena ho capito di essere di disturbo, ho sempre detto che sarei andato via». Allora non è solo la stanchezza. Stress, non i risultati. Ma poi fa capire che in caso di terzo posto sarebbe rimasto: «È un’utopia, inutile rispondere ora». Con la partecipazione alla prossima Champions non si sarebbe arreso. Oggi a Cesena difenderà il settimo posto. Dal Parma battuto due volte in questa stagione.

Il Messaggero – Ugo Trani 

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