Gazzetta dello Sport – Andrè Villas Bis, già un anno fa stregò Baldini

«Il calcio è divertimento e creatività, ma anche organizzazione, scelte giuste e concretezza. Organizzazione non significa noia, ma disciplina, intelligenza, pensiero e conoscenza. Mi piace vedere le mie squadre all’attacco e i tifosi che si divertono». Il manifesto programmatico di André Villas Boas è sopravvissuto all’esonero del 4 marzo scorso e alla delusione del Chelsea. I 34 anni — è nato il 17 ottobre 1977 a Porto da una famiglia della buona borghesia, il padre Luis Filipe è un ingegnere chimico, mentre la nonna Margaret Neville Kendall era una nobile inglese — sono un buon punto di partenza per rifarsi una verginità dopo un percorso da allenatore prodigio.

La storia – A 3 anni è abbonato al Porto, a 11 divora album Panini e scheda i calciatori al computer. Inizia anche a giocare, ruolo centrocampista difensivo. Caratteristiche: piccolo, combattivo, tecnica limitata. Il 1994 è l’anno della svolta: la famiglia si trasferisce in un palazzo di Rua Tenente Valadim, nello stesso complesso dove abita Bobby Robson, storico manager inglese. Qui nasce la leggenda. AVB infila «pizzini» nella buca delle lettere di Robson per esprimere opinioni tecniche. Il manager inglese s’incuriosisce, vuole conoscere il ragazzo e lo porta con sé agli allenamenti. È il momento chiave. Il sogno di AVB era frequentare l’università e diventare giornalista sportivo, ma l’incontro con Robson orienta in modo diverso il suo destino. Si iscrive ai corsi della Inverclyde National Sports Centre a Largs, città scozzese a 53 km da Glasgow. Perfeziona l’inglese, prende prima il diploma B, poi quello A e a 21 anni s’imbarca per le Isole Vergini britanniche, dove all’inizio pare un turista. Sta sempre in spiaggia, ma quando si mette al lavoro, dimostra di essere bravo. Nel 2000 rieccolo a Porto, dove incontra Mourinho, che seguirà al Chelsea e poi all’Inter. Nel 2009 rompe con Mou — i due non si parleranno a lungo —, torna in Portogallo e salva l’Academica. Il 2 giugno 2010 eccolo al Porto: vince Supercoppa, campionato, Coppa ed Europa League. Il 22 giugno 2011 firma un triennale da 2,5 milioni netti a stagione con il Chelsea, che paga una penale di 15 milioni per strapparlo al Porto.

Delusione Chelsea – Il Chelsea è un osso duro. AVB si mette contro la vecchia guardia e sceglie il 4-3-3, inadatto alle caratteristiche dei giocatori. I Blues partono bene, ma la sconfitta con il QPR avvia la caduta. La squadra incassa troppi gol, i vecchi remano contro e lui insiste negli errori. Il Chelsea affonda e Abramovich lo licenzia. È il 4 marzo 2012. AVB fa perdere le sue tracce.

Carattere – L’identikit: maniaco della discrezione – non concede interviste in esclusiva – e del lavoro, sicuro di sé ai limiti della presunzione, coraggioso. Quando Franco Baldini lo incontra nell’estate 2011, il portoghese impressiona per la sua conoscenza approfondita dei giocatori della Roma. AVB è uno splendido teorico, con una grande cultura calcistica. Il «pallone» è però anche vita quotidiana e strada. È il suo limite — vi immaginate AVB che spiega a Totti come muoversi sul campo? —, ma è un giovane e come cantava De Gregori, «il ragazzo si farà».

Gazzetta dello Sport – Stefano Boldrini

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