La Repubblica (L. d’Albergo) – Ammainate le bandiere, rinfrescate le gole seccate dai cori, rifate gli zaini, ripescate le auto nei parcheggi dove le avete posteggiate e lasciate che i taxi scaldino i motori. Poi sarà di nuovo casa, di nuovo Roma. Ma con un carico di tristezza in più. La data è destinata a rimanere scolpita nella coscienza condivisa di un intero popolo: 31 maggio. O forse primo giugno. Giornate della nuova maledizione giallorossa, piovuta ai rigori pochi secondi dopo la mezzanotte. Un appuntamento segnato da un esodo e un controesodo di dimensioni ciclopiche. Migliaia di auto, van da 7 o 8 persone. Treni, notti in cuccetta. Aerei di linea in ritardo mostruoso sul tabellino di marcia e charter che hanno risucchiato i migliori slot aeroportuali sul mercato e i risparmi di un’intera curva.

I romanisti hanno risposto presenti, tra sacrifici e coincidenze impossibili. Viaggi incredibili, con tappe sconclusionate. Budapest, poi Napoli: facile. Vienna, Lamezia Terme e un treno diretto di nuovo verso l’Urbe: difficoltà media. Macchina, dura e pura: una maratona fatta di asfalto, caselli e pedaggi. Con la speranza, spesso malriposta, di tenere il cronometro sotto le 12 ore. 

Si è chiuso così un mercoledì folle, di amore e scene che chi frequenta l’Olimpico conosce già da un pezzo. Si prenda ad esempio la mossa dei tanti (tantissimi) tifosi romanisti arrivati in Ungheria senza biglietto. Dopo aver provato per un’intera mattinata a imbonire gli steward della Puskas Arena, sono andati per le vie brevi. Nei video circolati ieri seri, pochi minuti prima del fischio d’inizio, si vedono gli ultrà romanisti passare i tornelli due a due. È il famoso trenino, quello che i cittadini capitolini sono abituati a vedere in metro: due corpi si schiacciano, diventano uno e via. L’ingresso è garantito.