Totti, Spalletti e società: egoismo e incompetenza, hanno sbagliato tutti

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Repubblica.it (E.Sisti) – Come Anna Karenina che si butta sotto il treno. Dopo tanto amore la fine che non vorresti leggere né vivere, hai solo voglia di cancellare tutto. Il capitano, il simbolo che non riesce più a raccapezzarsi, travolto da un’inedita condizione esistenziale e professionale, il nuovo arrivato di una scomoda terra di mezzo o di un limbo tutto suo, in cui non è più niente di preciso, né un“turning point” della sua adorata squadra, né un allenatore, né un dirigente, né un ex. Ha quasi 40 anni e lo sappiamo bene che l’età è un baratro, se l’età non contasse Altafini e Pelè sarebbero ancora convocati, Laver sfiderebbe Djokovic e non è detto che perderebbe e Bolt correrebbe fino al 2050 sotto i 10”, se l’età non contasse il cuore di un essere umano (inteso come pompa) migliorerebbe con l’esperienza e invece è l’esatto contrario. Ma Totti parla come se di anni ne avesse ancora 30 anni e magari anche qualcuno di meno. Confusione e una fifa tremenda del futuro, per ciò che l’aspetta, che non ha ancora una forma, inconoscibile, viscido, nemico. Totti pensa a quello scarpino attaccato al chiodo e si sente male, ma quello scarpino, fatalmente, dolorosamente, romanticamente, si sta arrampicando da solo sulla parete della stanza di Trigoria in cui il capitano serba i propri cimeli, che costellano il cuore dei tifosi giallorossi così come il suo, che ancora risuonano della gioia provocata, che hanno fatto gridare e sorridere come mai, esperienze profonde, emozioni incancellabili. Ebbene tutto questo prima o poi doveva finire.

E Totti ne è consapevole ma lotta perché non si dà pace. Ne è consapevole da almeno da un paio d’anni, si conosce, si guarda allo specchio, conta i giorni del recupero da un infortunio e scopre che sono sempre di più e un motivo ci sarà (si potrebbe quasi dire che non è mai più guarito dal problema al flessore-gluteo che accusò in Roma-Napoli; quanto tempo è passato?). Totti sa ma non può ammetterlo, intuisce e nasconde perché altrimenti la barca che culla il suo “fanciullino” affonderebbe. E così azzarda il “merito più rispetto” e la sua esternazione viene posizionata in un momento in cui emergono tante verità: il disinteresse per i destini di un club dal quale evidentemente non si sente più tutelato, di cui sente di non fare più parte, la paura a riconoscere, interpretare la realtà dei fatti, il desiderio di costringere il presidente Pallotta, fra pochissimi giorni, a decidere più d’istinto che in modo razionale, ben sapendo che la Roma lo sta spingendo a non rinnovare e che i compagni non lo “reggono” più, non umanamente, ma calcisticamente (in campo Totti è diventato un limite…).

C’è un po’ di egoismo in questa uscita mediatica, ma la colpa è anche di chi glielo ha consentito. La Roma è tornata una squadra vera, da squadra vera ha perso contro il Real Madrid ed è in piena corsa per il terzo posto in campionato. L’utilità di questo “botto” è meno di zero. Lo scorso anno, alla vigilia di Feyenoord-Roma, in rotta con Garcia che gli stava a fianco nella conferenza stampa di Rotterdam, il capitano, che ha regalato un sogno lungo vent’anni a un pubblico non aveva mai conosciuto un Totti (nessuno dei grandi calciatori del passato giallorosso ha lo spessore di questo fenomeno al tramonto senza raggi verdi), ammetteva senza neppure calcare la mano: “Finisco l’anno prossimo”. Quindi ancora una stagione e mezza. Come da contratto. Ma nessuno ci ha fatto caso, sembrava una delle tante battute di quella serata. Solo che dirlo a distanza di quasi due anni è facile, quando arriva il momento di fermare le macchine uno s’imbatte nei propri fantasmi. Quelli di Totti sono gli spettri gentili ma subdoli di un ragazzo adulto che non sa cosa fare con il proprio avvenire, non sa come impostare un’esistenza senza calcio o con un calcio rivisto e corretto. Non ce lo vedi Francesco commentare una partita in televisione e nemmeno debuttare nel campionato indiano. Così si è arrivati al paradosso di vedere Totti entrare nel dopo-Totti da calciatore ancora in attività, ma per quattro inutili, fatali minuti che hanno acceso la miccia dell’ultima pagina del romanzo. Doveva essere l’unico a potersi permettere il lusso, dopo tanta luce regalata, di anticipare gli eventi, di prevenire le delusioni e il buio dell’addio con un arrivederci più maturo mediante il quale evitare la brutta scena dell’allenatore che lo caccia dal ritiro. Più che meritare il rispetto di chi non se la sente di considerarlo, a quasi 40 anni, parte di un progetto né presente né futuro, Totti non si sarebbe mai dovuto spingere al punto di farsi cacciare, quindi avrebbe dovuto capire che per meritarsi il rispetto degli altri (Spalletti compreso) avrebbe dovuto iniziare lui ad avere rispetto per se stesso.

La fantasia non dura. E come diceva Rousseau, alla fine delle combinazioni della fantasia si torna alla natura. E la natura dice che quel fisico, quel corpo, un tempo fonti di meraviglie inusitate, non è più in grado di esprimersi ai livelli della giovinezza, perché è così che funziona, e nemmeno avvicinarcisi. Un boccone difficilissimo da digerire. Ma non si può impegnare la bocca a masticare per il resto della vita. Non doveva finire così, Totti forse dovrebbe apprezzare il cambiamento, non opporvisi. Anche perché non c’è altra strada. “Mi accorsi che da molto tempo non mi piacevano più né le persone né le cose, ma mi limitavo nella solita stenta messinscena. Mi accorsi che anche l’amore per quelli a me più vicini si era ridotto solo a un tentativo di amare, che i miei rapporti occasionali erano solo improntati al ricordo di quanto, in circostanze analoghe, andasse fatto. Odiavo la notte che m’impediva di dormire e odiavo il giorno perché andava incontro alla notte”. Improvvisamente non hai più un posto. Lo scriveva Francis Scott Fitzgerald sull’Esquire. Raccontava il suo “crollo”. A 33 anni si sentiva vecchio. E non giocava a pallone. In questo acido addio di Totti, cui ci sentiamo legati da un filo d’amore fraterno, per tutta quella strada fatta insieme senza conoscerci, manca il senso della realtà. Forse, a questo punto, il gol più importante.

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