Simeone, l’Italia spiegata all’Atletico

La Repubblica (E.Sisti) – Come a tutti i grandi club, all’Atletico Madrid manca qualcosa, c’è un posto vuoto di troppo in bacheca: «Negli ultimi anni siamo tornati ai vertici», ammette orgoglioso Diego Pablo Simeone, «è solo mancata la zampata nelle partite che abbiamo in parte dominato e che avrebbero potuto regalarci la Champions. Prima o poi copriremo questa falla nel nostro palmarès. La squadra e i tifosi, sono pronti, Madrid è una città piena di vita. Un giorno venceremos». Eppure due finali perse a poca distanza e sempre contro lo stesso avversario che non sarà mai un avversario qualsiasi (il Real Madrid), anche una grande squadra fatica a digerirle («però non siamo dei complessati»).

Nemmeno se nel frattempo il club è rimasto competitivo cedendo pezzi da novanta (Costa, Mandzukic, Courtois, Turan, Alderweireld, Miranda). L’Atletico continua a puntare in alto perché da quelle parti sanno vendere e comprare. La grandezza del gruppo e del sistema che lo sostiene verrà confermata sabato prossimo, quando alle 20.45 (contro il Malaga) l’Atletico Madrid inaugurerà il nuovo stadio, il Wanda Metropolitano, riadattamento lussuoso e moderno ma intriso di concetti antichi: «È stato realizzato», prosegue Simeone, «per la gente che vive, pensa e ama soltanto l’adorato “Atleti” e lo seguirebbe in capo al mondo. Sarà una benzina supplementare, sarà la classica novità che ingloberà il ricordo del vecchio stadio, senza cancellarlo».

Una delle certezze del cammino agonistico dei “colchoneros” è proprio l’allenatore, Diego Simeone, il collante, l’uomo che ha appena rinnovato per altri due anni (dopo Wenger è il più longevo tecnico dei club europei di prima fascia) e che passa la vita a dimostrare di essere veramente quel ricco e avventuroso “sangue misto” di cui parla il suo soprannome. Il “Cholo” proviene da una parola azteca impronunciabile e illeggibile che più o meno significa “incrocio di razze”: «È così. Io vengo da un mondo in cui la purezza delle razze praticamente non esiste, spero di averlo insegnato ai miei figli». Calcisticamente il “Cholo” che c’è in lui fa scorrere nelle vene del tecnico competenza e un po’ di follia, passionalità e rigore, durezza e comprensione. Per questo è amato: perché è completo e perché in lui si rivedono i giocatori.

Nello spogliatoio dell’Atletico ci si capisce spesso al volo: «A volte si parla per occhiate, gesti: sono sufficienti», riconosce Diego Godin. Il “Cholo” torna a Roma dopo 5 anni (affrontò la Lazio in Europa League nel febbraio 2012, vittoria per 3-1): «Bei ricordi della mia Lazio, ma grande rispetto per la Roma di allora e per quella di oggi, che reputo una squadra esteticamente bella e ben strutturata sotto il profilo tattico. La prima partita di Champions è fondamentale dal punto di vista psicologico, soprattutto in un girone così competitivo. Ma giocare all’Olimpico, questo posso garantirlo, non sarà mai una passeggiata».

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