Sempre più rotti. Impressiona l’escalation degli infortuni

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Il Corriere della Sera (G.De Carolis) – La spia dell’allarme si accendeva ad aprile, quando il campionato vedeva il traguardo. Oggi sono però passati appena due mesi e la serie A è già un lazzaretto. Le infermerie delle squadre sono stipate di «rotti». La curva degli infortuni continua a crescere anno dopo anno, senza sosta. A Coverciano, dove si radunano medici, preparatori e dirigenti dei club, quello dei guai muscolari e degli stop legati a problemi traumatici è un argomento ormai sempre all’ordine del giorno. L’aumento degli impegni, unito a una maggiore attività fisica e al minor tempo per recuperare (i club tendono a forzare il rientro e non sempre ascoltano i medici) stanno alla base di un incremento preoccupante.

Rispetto al passato c’è anche una maggiore diffusione delle notizie. Prima, forse anche per pretattica, si teneva nascosta fino all’ultimo la lista degli indisponibili, oggi è quasi impossibile. «Una volta il picco c’era ad aprile, ma si giustificava con la chiusura del campionato. C’è sì un problema di preparazione, ma non solo quello. Non ho le statistiche sotto mano, scommetto però che le squadre con maggiori infortuni sono quelle in difficoltà. Lo stress psicologico influisce in modo pesante sul fisico. È un fattore spesso sottovalutato». È la chiave di lettura di Vincenzo Pincolini, ex preparatore atletico del Milan di Arrigo Sacchi e Fabio Capello e ora nell’Under 19. A ben guardare la Juventus, sotto stress e parecchio in questo avvio, di infortunati ne ha avuti già dieci. La Roma, altra squadra sotto pressione è arrivata a otto.

Chi ha pagato più dazio di tutti è il Verona con undici giocatori costretti a fermarsi. La teoria dello stress spiega ma non esaurisce, anche perché il Napoli, carico di aspettative e non certo con una partenza brillantissima, non ha avuto intoppi, se non un lieve guaio a Insigne. E pure il neopromosso Frosinone ha perso solo la punta Longo. Maurizio Casasco, presidente della Federazione Medico Sportiva, ed ex dirigente di Genoa e Torino, quindi profondo conoscitore del calcio, riassume in tre punti i problemi: «Calendari, discorso medico e valore del dottore del club». Si gioca troppo e troppo spesso, ma nella Nba i ritmi sono forse anche più serrati. «Ma lì — spiega Casascoesiste un turnover maggiore. Nel calcio ci sono appena tre sostituzioni, mentre nel basket c’è la possibilità di recuperare, anche durante la partita».

Quello degli impegni ravvicinati non è l’unico ostacolo da superare. Preparatori e medici concordano sulla mancanza di tempo dedicato all’allenamento. «Si esaspera la parte sulla forza, l’allenamento a secco con le macchine, rispetto alla fase dinamica. Si privilegia la potenza e poi si passa subito a giocare e quindi alla velocità, normale poi avere gli infortunati. Ma la potenza aumenta velocemente la massa muscolare, rispetto a strutture come i tendini. È un po’ come mettere un motore potentissimo su un telaio leggero: non può reggere», sottolinea Casasco. Le percentuali di infortunati calcolate su rose di 25 giocatori fanno spavento. Il Verona ha avuto quasi mezza squadra fuori, la Juventus e la Roma un terzo, Inter, Lazio, Torino e Bologna poco meno. C’è anche una componente di casualità, «ma pure — rimarca Casascomedici non sempre all’altezza o poco considerati dai club d’appartenenza. Si tende sempre a forzare i tempi di recupero. L’ortopedico poi non è solo lì per entrare in campo durante la partita e aggiustare i giocatori. Dovrebbe, come appunto accade in Nba, avere un ruolo preventivo, partecipare alla preparazione e non solo visitare i giocatori ».

Gli staff sanitari dei club sono ampi, ma hanno le giuste competenze? Secondo Pincolini non è solo il calendario a pressare i calciatori, i preparatori dovrebbero spingere di più sul lavoro individualizzato. «Non si può allenare un mezzofondista, uno alla Pirlo, come un velocista. E poi le tournée estive. Portano qualche milione, ma è la Champions a fare gli incassi: ha senso spremere i giocatori e farli romperli? I calciatori hanno pause troppo corte. In estate magari c’è un’altra competizione dopo il campionato e prima del ritiro. Serve maggiore riposo». La Nba vieta ai giocatori di scendere in campo per un mese e mezzo dopo la chiusura del torneo. Riposo forzato, obbligatorio da contratto. Da noi si gioca (e ci si rompe) sempre di più. Lo spettacolo dei «rotti».

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