Se le violenze sui giocatori puzzano di mafia

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La Gazzetta dello Sport (A.Lucchetta) – Qualche goccia nel mare o poco più, ma almeno si inizia a contarle. Il rapporto dell’Aic Calciatori sotto tiro — presentato ieri a Milano — ha censito 52 «azioni intimidatorie» ai danni di squadre e giocatori nel 2014-15, dalla Terza categoria alla Serie A. Il rapporto si limita a conteggiare gli episodi riportati sulla stampa e le segnalazioni delle sedi locali Aic. Molte denunce sono rimaste segrete per volontà degli autori, e ancor più spesso le vittime tendono a tacere gli abusi. Il risultato, si può sospettare, è che la «cifra oscura» ecceda quella nota. Ma — dice Damiano Tommasi, n. 1 dell’Aic — fondamentale è cominciare a descrivere il fenomeno.

ASSUEFAZIONE Per Tommasi il primo nemico è l’assuefazione all’interno degli spogliatoi: l’idea che dopo una sconfitta un paio di ceffoni faccia parte del pacchetto. «Non è così ovunque, come sa chi ha avuto la fortuna di giocare all’estero». Una china pericolosissima: «Si arriva alla fine di Ciro Esposito perché tutto questo passa per normale». Problema particolarmente delicato al Sud, dove si è registrato il 48% degli episodi (26% nella sola Campania), contro il 30 del Centro e il 22 del Nord. Nel 13% dei casi si è giunti all’aggressione fisica, nel 19 sono state danneggiate strutture dei club o beni dei calciatori. Il 57% degli abusi si è consumato all’interno degli stadi, trasformati in gogne dove al tifo esasperato si somma la volontà di sbandierare la supremazia e l’impunità negli impianti.

COSCHE Non sfugge come molti abusi siano compiuti in zone di forte radicamento del crimine organizzato. Sempre più spesso le frange violente del tifo agiscono come gruppi criminali strutturati. Pierpaolo Romani — coordinatore nazionale dell’associazione antimafia «Avviso Pubblico» e responsabile dell’Osservatorio Aic — ricorda il monito del magistrato Antonello Ardituro, secondo il quale i gruppi ultrà tendono a riprodurre caratteristiche proprie delle cosche: «La forte selezione all’ingresso; la condivisione di una serie di regole in cui la violenza costituisce il pilastro fondamentale; l’omertà trasversale al mondo del tifo, non limitata ai soli compagni di curva; e il ricorso a elementi simbolici, come i tatuaggi, che denotano l’appartenenza al gruppo». Evoluzione non casuale, specie alla luce delle infiltrazioni delle mafie nei club. Il sospetto è che la violenza venga esercitata anche per ragioni diverse dalla competizione sportiva: per accomodare un risultato su cui scommettere, magari. Fa riflettere che il 71% degli abusi sia stato compiuto dai tifosi della stessa squadra colpita. Tutto ciò detto, sottolinea Tommasi, il tifo sano esiste eccome: e nello sforzo di sradicare i gruppi criminali, bisogna stare attenti «a non recidere i legami fra squadre e supporter genuini, che vanno incentivati».

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