Il Messaggero – Rosi & Angel, fascia a fascia

Uno, in estate, a momenti non figurava neppure nella lista dei convocati in partenza per il ritiro di Riscone di Brunico; l’altro, invece, era stato accolto come il futuro re della fascia sinistra e aveva cancellato in un attimo l’immagine e il ricordo di John Arne Riise. Dopo dieci giornate di campionato, le storie di Aleardo Rosi e José Angel Valdes si sono diametralmente (o quasi) capovolte: il romano piano piano si è conquistato un posto da titolare sulla fascia destra; lo spagnolo piano piano ha perso il posto sulla corsia di sinistra. E la (doppia) cosa, tutto sommato è sorprendente. Cominciamo da Rosi che, numeri alla mano, non ha mai perso: quando la Roma è stata battuta da Cagliari, Lazio, Genoa e Milan lui in campo non c’era, perchè indisponibile oppure perchè già sostituito. Bilancio: cinque presenze, zero sconfitte e solo due gol al passivo della Roma. In più, l’assist per il gol da tre punti di Osvaldo a Parma. Un Rosi tutto nuovo e il merito è, oltreche suo, di Luis. O meglio, del gioco del tecnico asturiano che gli consente di fare molto l’attaccante e poco il difensore.

Così, Leo – che calcisticamente nasce come esterno alto o ala – si trova più a suo agio rispetto a quando faceva il terzino e basta, e pure abbastanza bloccato dietro. A ventiquattro anni ha capito gli errori commessi in passato (compreso quello sputo a Lavezzi) e come affrontare la sua professione: ecco perchè sta cercando quotidianamente di migliorarsi sul piano fisico, ad esempio. Tecnicamente è sempre stato uno con qualità al di sopra della media, adesso che sente la fiducia dell’allenatore va in campo più tranquillo e quindi il suo rendimento logicamente è superiore rispetto al passato: sa che può sbagliare, perchè Luis crede davvero molto in lui. Al punto che, sabato scorso a Novara, l’allenatore asturiano non ci ha pensato due volte prima di impiegarlo dal primo minuto nonostante fosse reduce da quel lungo stop post infortunio al derby (16 ottobre).

Tutt’altro discorso, invece, deve esser fatto per Josè Angel, che ha giocato più di Rosi (890 minuti contro 453) e che non si è perso dodici delle tredici reti incassate dalla Roma. E quando lui non è stato titolare, a Milano contro l’Inter e a Novara, la Roma ha mantenuto la porta inviolata. Dette così, queste cose appaiono fin troppo cattive nei confronti dell’ex Sporting Gjion ma i numeri sono quelli. Di certo, Josè Angel non è molto bravo a difendere e il suo nome figura in negativo in parecchie azioni che hanno portato gli avversari al gol. Quando deve attaccare, è un’ala vecchia maniera e il contributo alla squadra, nella fase offensiva, è tangibile; quando, però, deve difendere, sono (ancora) dolori. Luis, che l’ha voluto a tutti i costi a Trigoria, l’ha coccolato e difeso per mesi, poi sabato scorso l’ha piazzato in panchina. Un segnale, forse. Della serie: io ti ho portato alla Roma, ma per me sei uno come tutti gli altri. Difficile pensare che, di punto in bianco, Josè Angel impari a difendere in maniera impeccabile: ci sta lavorando, e con lui lo staff di Luis, ma è e sarà sempre un esterno d’attacco. Bello a vedersi quando punta l’area avversaria; da brividi quando lo puntano nell’area della Roma. Con pregi e difetti, però, lo spagnolo – come Rosi – è parte integrante del progetto giovani della Roma. L’importante, per il bene suo e della Roma, è che elimini (in fretta) i troppi passaggi a vuoto che hanno caratterizzato la prima parte della sua avventura romana.
Il Messaggero – Mimmo Ferretti

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