Il Corriere della Sera (L.Valdiserri) – Sette vittorie consecutive sono sotto gli occhi di tutti. Ma quale è la parte di iceberg che non si vede, il segreto che Luciano Spalletti e il suo staff hanno portato alla Roma? Facile rispondere la «cultura del lavoro», che vuole dire tutto e niente. Però i giorni di riposo sono diminuiti e gli allenamenti aumentati. Come ha detto Nainggolan dopo il 4-1 inflitto alla Fiorentina «la squadra è più corta e corriamo meglio». La parte tattica è fondamentale. Perotti e El Shaarawy sono stati acquisti importanti al mercato di gennaio e si adattano molto di più al gioco di Spalletti che a quello di Garcia. La Roma si basa sempre sulla velocità, ma è meno anarchica di quella con Gervinho e Iturbe. Spalletti ha conquistato il gruppo dimostrando di non essere un integralista. Ha provato molto, ma quando ha capito che l’esperimento non funzionava è tornato indietro e non si è «incaponito». L’esempio più chiaro è quello del playmaker: Spalletti ci ha provato con Pjanic ma poi ci ha messo Keita. E Pjanic, più avanti, è rifiorito.
Francesco Totti ha risposto ad alcuni curiosi venerdì notte, dopo la gara, in un ristorante dove era andato con tutta la famiglia: «Giocherò anche l’anno prossimo? Eh, boh… non lo so. Non penso di incontrare il presidente prima della sua partenza: sono finiti gli incontri…». James Pallotta, che ieri ha portato anche lui amici di Boston a mangiare, ma a pranzo in un ristorante vicino a Porta Portese, ha risposto: «È Francesco che deve pensarci. Ho trascorso molto tempo con lui durante questa settimana. Deve pensare a quello che vuole fare. Tutti fanno congetture sul suo futuro, ma è solo lui che deve prendere una decisione». Intanto a Madrid, martedì contro il Real in Champions League, Totti spera di giocare dal primo minuto. Come Edin Dzeko.