Roma sotto zero. Il Bodø Glimt sembra il Manchester United, giallorossi umiliati: finisce 6-1

La Repubblica (M. Pinci) – Nel mare del Nord, la Roma vede affondare la propria dignità di squadra, ma anche una buona metà del proprio organico. Buttato a mare da Mourinho, insieme ai rapporti interni tra allenatore e giocatori (almeno una parte), e forse anche con (alcuni) dirigenti.

Sei gol subiti non sono una novità da un pezzo, per la Roma. Ma quando a fine aprile li prese dal Manchester a Old Trafford (6-2, e in passato furono anche 7) almeno era una semifinale europea, c’era un cammino alle spalle. Questo 6-1 a Bodø, una cittadina di 52 mila abitanti nel Circolo polare artico, è invece una mattanza, una carneficina sportiva, che ti viene voglia di invidiare la fine dei salmoni nel vicino stretto di Saltstraumen.

In questa “gita” sotto zero, il freddo più freddo è quello degli sguardi di una squadra apparsa già svuotata. Senza risposte da dare, scaricata da 400 tifosi (uno dei quali cacciato dallo stadio per insulti razzisti, un’onta peggiore del risultato). Dopo un viaggio di 3700 chilometri — e 40 ore, per quelli arrivati in automobile — quei romanisti hanno rifiutato le maglie che un gruppetto di calciatori pretendeva invano di offrire come risarcimento, scusandosi per la figuraccia. L’ennesima. Che tira in ballo tutti, senza esclusioni. Senza esentare nemmeno il mito Mourinho. Che è stato Mourinho in tutto: prendersi la colpa, in questo caso, era un affilatissimo trucchetto dialettico per scaricarla in realtà su altri.

In particolare, sui più deboli dei suoi calciatori. Kumbulla, Reynolds, Darboe e Calafiori, nati tra il 2000 e il 2002, per esempio. Ma anche Carles Perez e Villar, Diawara e Mayoral. “Non ho mai nascosto i limiti della squadra“, ha detto Mou. “Oggi il Bodø aveva più qualità di noi”. E ancora: “Una cosa sono dodici o tredici calciatori, una cosa tutti gli altri”. E infine: “Ora nessuno mi chiederà più perché giocano sempre gli stessi”.

Eccolo, l’obiettivo: dimostrare a tutti, al pubblico ma anche alla proprietà, che quella che gli è stata messa in mano è una squadra inadeguata. Un’accusa che però fatica a tenere: perché nel secondo tempo di titolari ne sono entrati 5 e le cose sono andate anche peggio, con 4 dei sei gol arrivati dopo l’intervallo.

E perché ad aprile, nei quarti di Europa League la Roma vinse ad Amsterdam con Ibañez e Diawara titolari, Calafiori entrato dopo mezz’ora di gioco e poi Mayoral, Perez e Villar dentro prima del gol della vittoria. Ed erano tutti titolari nella vittoria con lo Young Boys. Scaricate le “zavorre”, siamo sicuri che il viaggio proseguirà più leggero? Lo aveva già fatto in estate, José: fuori rosa Nzonzi e Pastore, Santon e Fazio, persino Pedro, regalato alla Lazio. Il derby ha sentenziato: non è stata una buona idea.

Tra le righe, le parole di Mourinho celano però altro, un’evidente critica al lavoro del general manager Tiago Pinto: arrivato alla Roma a gennaio, questa squadra l’ha costruita lui. Dopo due sessioni di mercato e 90 milioni spesi, il tempo per nascondersi dietro al passato è finito. Anche per Mourinho. Che deve iniziare a fare i conti con un presente che racconta impietoso come 12 delle sue ultime 30 partite siano state perse.

Con la Roma sono già 4 ko, tutti nelle ultime 7 partite, le altre col Tottenham. La colla della fiducia inizia a staccarsi anche dai murales che lo avevano accolto a Roma. Non sono ancora ingialliti, ma dopo il derby e la Juventus, ora è il Napoli del nemico diventato amico Spalletti a dover dire cosa resta della leggenda Mou, domenica all’Olimpico. E se questa Roma sia capace di altro, oltre alle scuse. 

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