Roma-Napoli, inseguitrici con due panchine scomode

Corriere Della Sera (L.Valdiserri) – Fino a poco tempo fa Roma-Napoli sarebbe stata la sfida toscana tra Spalletti e Sarri. Due tecnici che si stimano, che hanno salito i gradini della scala della professione e che sembravano due punti fermissimi nel futuro dei loro club. I numeri spiegano. La Roma è seconda e il Napoli terzo, dietro a una Juve dai ritmi mostruosi; il Napoli ha il miglior attacco (60 gol) e la Roma il secondo (57); insieme alla Juve sono le uniche italiane nelle Coppe europee: il Napoli giocherà martedì prossimo contro il Real Madrid in Champions, la Roma andrà a Lione per gli ottavi di Europa League; escono da due sconfitte in Coppa Italia (Juve-Napoli 3-1; Lazio-Roma 2-0) ma possono giocarsi le loro carte nel ritorno; Spalletti e Sarri hanno alzato il valore di mercato delle rose a loro disposizione, lavorando per i conti dei club. Eppure i tifosi di Roma e Napoli, legatissimi ai tecnici, non sanno se fra tre mesi saranno ancora in panchina. Situazioni paradossali, anche se diverse. Sarri è nel mirino del presidente Aurelio de Laurentiis, che ha tracimato dopo la sconfitta di Madrid. C’è un contratto blindato da un’alta clausola rescissoria, ma il rapporto è entrato in crisi.

Il vincolo di Spalletti con la Roma scadrà a giugno e il tecnico ha rimandato a fine stagione ogni discorso di rinnovo. Ripete che il suo contratto è in mano ai calciatori e che per restare bisogna vincere. L’ideale, per programmare, sarebbe firmare subito, ma così non avviene. I dubbi di campo sono pochi, ma importanti: Milik o Mertens, Salah o Perotti. Sarri alla vigilia non ha parlato, come da indicazione del club. Spalletti ha difeso il lavoro suo e del collega: «Sono due squadre di cui società, dirigenti, allenatori e tifosi possono essere orgogliosi. Dietro ci sono professionalità, serietà di comportamento e attaccamento ai colori sociali». Ma le parole più belle le ha dette sui buu razzisti a Rudiger, durante il derby, non puniti da una giustizia sportiva ingiusta: «Avevo un amico, che aveva gli occhi azzurri, ma purtroppo era cieco. Quando avvertiva di avere una persona davanti, spalancava gli occhi. Era un invito all’altro a farsi conoscere. I razzisti meriterebbero di vivere un po’ come lui, così avrebbero la possibilità di conoscere le persone per quello che dicono, anziché valutarle per il colore della pelle». Dirlo alla vigilia di una partita che si deve giocare alle 15 per motivi di ordine pubblico vale ancora di più. E vale per tutti.

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