Roma, Mourinho e la sindrome dell’autosconfitta

La Repubblica (S. Bonvissuto) – Roma. E la sua struggente bellezza. Quello che resta della città più bella del mondo è comunque ancora la città più bella del mondo. Capace come nessun altro posto conosciuto a tenere insieme bellezza e bruttezza.

L’eliminazione dalla Coppa Italia segna la stagione della ASRoma privandola del primo obiettivo di quest’anno. Il principale, il più importante, per ciò che mi riguarda avrei anche firmato col sangue nel caso in cui fosse rimasto l’unico. Un po’ perché sta Coppa Italia è diventata una chimera, un po’ perché la nuova maglia dell’anno prossimo con la stellina d’argento sopra sarebbe un bellissimo vestito con il quale farsi seppellire.

Oggi invece ci ritroviamo davanti ancora un’altra stagione guasta, l’ennesima alla quale riuscire a dare un significato.La Roma scende in campo con una formazione suicida nel primo tempo, piena di ragazzini, fra i quali gente come un appagato Volpato che a 13 anni e per un gol al Verona forse si sente Garrincha, o Cristante che a Firenze farebbe la panchina, o Mancini che è come quegli amici che non ci puoi uscire perché vonno menà a chiunque.

Kumbulla che s’era scordato di essere un giocatore di pallone. Tahirovic titolare per forza perché andrà venduto in estate ad un prezzo più alto possibile, quindi meglio che a rimanere fuori siano Bove o Camara. O Pellegrini, sul braccio del quale splende la fascia che fu dei capitani romani e romanisti, prestigio e orgoglio che solo la Roma può esibire al mondo. Capitani ai quali nessuno di noi ha mai chiesto di vincere. Ma solo di combattere. Lottare. Per la squadra e per la maglia.

Con gli acquisti del mercato invernale conclusi negli ultimi 20 minuti, il caso Zaniolo che si colora di dolorose epistole, una società che finge di non capire come gli unici boni a giocà a pallone qui siano Dybala, Smalling, e quel che l’anagrafe ci ha lasciato di Matic.

E allora niente, andiamo avanti così in attesa di sapere quello che farà il Mister a fine stagione, se sarà rimasto anche lui stregato da questa città e dal pubblico giallorosso, o se andrà via per lasciarci di nuovo in mano agli allenatori di sempre, quelli venuti qui perché alla moglie e al loro commercialista sta bene così, e della ASRoma chissenefrega. D’altronde questo è il nostro destino: l’autosconfitta.

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