La Gazzetta dello Sport (C.Zucchelli) – La voglia di giocare, anche solo per un minuto, e la voglia di vincere. Non fosse altro perché, se davvero rinnovo non sarà, Francesco Totti non vuole chiudere la carriera con più derby persi che vinti. Ne ha giocati 41, per 14 volte è uscito dal campo col sorriso pieno, per 12 col sorriso a metà, per 15, invece, ha dovuto guardare gli altri festeggiare. Vuole mettere le cose in pari e spera che Spalletti gliene dia la possibilità. Difficile dall’inizio, magari a partita in corso, con la speranza, mai sopita, che alla fine davvero non sia l’ultima volta. Perché, se dipenderà da lui, di tempo per riavvolgere il nastro dei ricordi ce ne sarà.
SELFIE IN CAMPO E FUORI – Di certo non lo ha fatto in questi due giorni di vacanza, trascorsi tra Montecarlo e un ristorante dei Castelli Romani, sempre disponibile per foto e selfie, lui che proprio le ultime due reti in un derby (su un totale di 11, era gennaio 2015) le ha festeggiate con lo smartphone in mano e la curva a fare da sfondo. E di certo non lo farà in questa settimana, troppo impegnato a lavorare sul campo, per dedicare tempo a riavvolgere il nastro delle sfide alla Lazio, che pure sono state una parte fondamentale della sua carriera. Non solo per il valore calcistico, ma anche, se non soprattutto, per tutto quello che il derby si è sempre portato dietro. Da figlio di Roma e della Roma, non poteva che essere così.
IL PRIMO – E pensare che il primo della carriera lo ha perso, era il 6 marzo 1994, non era passato neanche un anno dal l’esordio, di cui ieri ha festeggiato la ricorrenza numero 23. La Lazio vinse 10, gol di Signori, ma Totti c’aveva provato eccome a rimettere le cose a po sto, procurandosi un rigore che poi Giannini sbagliò, provocando l’ira di Franco Sensi, che invece proprio quel giorno si innamorò di Francesco. Neanche lui, però, immaginava quello che sarebbe successo in questi anni, quaranta e passa derby dopo, dalla maglia numero 20 alla 10, un ragazzino che stupiva allora e oggi non vuole smettere di farlo. A Roma o, se proprio non glielo concederanno, forse altrove.
SORRISI E LACRIME – E allora sì, che se dovesse giocare lontano, riavvolgerebbe il nastro dei ricordi, degli 11 gol alla Lazio come nessuno mai, delle 36 stracittadine di campionato e delle 5 di coppa Italia, delle lacrime del 26 maggio e delle esultanze che hanno fatto la storia, sua e della Roma: la maglietta «6 unica» dedicata ad Ilary dopo uno splendido pallonetto, un’altra, anni dopo, che ribadiva il concetto «6 sempre unica» mentre un telecronista diceva al mondo che «the king of Rome is not dead», la corsa dietro alla telecamera per riprendere i tifosi, gli sfottò e quel «vi ho purgato ancora» di cui si parla a distanza di anni, il «game over» della scorsa stagione, quando la Roma conquistò derby e secondo posto in un colpo solo.
DAI FISCHI AL RISPETTO – Sarà difficile, se non impossibile, immaginare il derby senza di lui, che della rivalità tra Roma e Lazio è sempre stato l’anima, fin da quando, ragazzino, sfidava il suo amico Nesta sui campetti di periferia. La storia dei derby è la storia della sua vita, del pallone sotto la maglia per simulare il pancione di Ilary, persino della panchina del 2010, quando Ranieri decise di togliere lui e De Rossi e fu proprio quella mossa a consegnare la partita alla Roma. Tifò quel giorno, tifò quattro anni prima a bordo campo con ancora le stampelle, ed è un ricordo per lui dolcissimo, anche se quella partita delle 11 vittorie consecutive con Spalletti (2006) non fa parte delle 41 che ha giocato fino a questo momento. Ma fa parte di quelle che lo hanno fatto gioire di più. D’altronde, Totti è così, tifoso tra i tifosi, ed è un peccato che, se ultimo derby sarà, non ci sarà uno stadio pieno ad applaudirlo e fischiarlo. Lo avrebbe meritato, è sempre stata la sua vita, anche quando, da capitano della Roma, andò al funerale di Gabriele Sandri. Quel gesto non gli ha mai risparmiato i fischi e le battute dei tifosi della Lazio, ma gli ha regalato il loro rispetto. E anche questo sarà un ricordo da derby.