Roma, goduria e primato

Il Tempo (A. Austini) –  Sta succedendo qualcosa di magico. La Roma ha una forza nuova, che niente e nessuno riesce a fermare. La vittoria con il Sassuolo – la quinta in cinque gare ufficiali che conferma i giallorossi al primato – è una specie di romanzo che si scrive nei minuti di recupero.

Indimenticabili per i trentamila dell’Olimpico e per tutti i romanisti che hanno esultato, imprecato e poi di nuovo esultato, con quell’urlo liberatorio al fischio finale. Impossibile negare che alla base di questo incantesimo ci sia José Mourinho, l’uomo delle mille panchine che va a correre come un pazzo sotto la Curva Sud al gol di El Shaarawy, un quasi sessantenne che festeggia come un ragazzino qualunque della Primavera, come faceva ad esempio Daniele De Rossi agli inizi della carriera.

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Ma siccome la millesima gara ufficiale della sua carriera doveva essere Special, è arrivato anche il brivido di un gol bellissimo di Scamacca a gelare l’Olimpico, poi giustamente annullato per il fuorigioco segnalato in tempo reale dall’assistente Vono, bravo come il collega Tolfo che nel primo tempo ha pescato la spalla di Raspadori in offside nell’azione del gol annullato a Berardi.

 

Sarebbe stato l’1-0 del Sassuolo invece in vantaggio ci è andata la Roma, con uno schema molto furbo su punizione. Cristante era in gioco per questione di centimetri, come Mkhitaryan e Veretout nei due gol alla Fiorentina: sta girando tutto bene, compreso il palo di Traorè (ma ne ha colpito uno anche Abraham).

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Una Roma in cui tutti sposano la causa dell’allenatore e cercano di fare uno sforzo in più. Viña va in campo un giorno dopo il rientro dall’Uruguay, Zaniolo, Pellegrini e Mancini giocano “sopra” i rispettivi acciacchi, Abraham va a terra dopo una storta al piede e prova a fermare i medici che stanno accorrendo per le cure.

E come non menzionare Rui Patricio, che con due miracoli ha consentito alla Roma di restare a galla in una partita pazza. Potevano vincerla entrambe, il Dio del pallone ha deciso che dovesse segnare El Shaarawy. Perché Mourinho si meritava quella corsa da libro cuore.

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