Rimpianti e riscatto

Corriere dello Sport (R.Maida) – Per fortuna c’è la Roma, per fortuna c’è il derby. Dev’esserci uno strano filo illogico a dividere le storie di Francesco Totti e Daniele De Rossi, due anime della stessa fascia di capitano. Totti lasciò la Nazionale del 2006 da campione del mondo, De Rossi deve farlo dopo il più grande fallimento del mondo. Come se viaggiassero sempre paralleli, almeno idealmente, ma a distanza di sicurezza l’uno dall’altro, nelle scelte e nelle soluzioni. Ma adesso si riparte: la giostra propone la partita che può azzerare tutto e De Rossi, che la vive per la prima volta da numero 1 ufficiale, lavora per mettere da parte i quattro giorni peggiori della carriera e allentare la tensione con il sorpasso in classifica alla Lazio. Il lato positivo, anzi, è che stavolta non arrivi spremuto al derby, avendo giocato soltanto venerdì scorso. Per uno con il fisico un po’ delicato potrebbe essere un elemento decisivo.

ATTACCAMENTO – Ha firmato suo malgrado l’autogol di Stoccolma, ha fatto discutere per aver deciso di non entrare in campo a San Siro. In tutti e due i casi è stato protagonista involontario, alimentando il dibattito nazionalpopolare che attorno al suo nome diventa spesso aspro. In realtà, mentre la sfortunata carambola della partita d’andata ha deciso la qualificazione senza che ci fosse modo di evitare il patatrac, a Milano De Rossi ha scelto deliberatamente, pensando di agire per il bene della squadra. Non era mai visto un calciatore che, nel rifiuto di scaldarsi, sottolineasse con forza la necessità di puntare su un compagno (Insigne). De Rossi ha ragionato da allenatore, forse sbagliando ma non tradendo se stesso. Del resto mai si è permesso, almeno nel periodo della maturità, di discutere una scelta tecnico-tattica o un’esclusione. Non lo aveva fatto neppure contro la Svezia, con un commissario tecnico ormai arrivato al capolinea.

L’ALTRO – Sì, la Roma a questo punto è un toccasana per gli azzurri che entrano nella storia per una disfatta senza precedenti. Pensate ad Alessandro Florenzi, l’altro romano romanista della comitiva. Aveva detto di essere pronto a morire, come da inno di Mameli, pur di andare al Mondiale dopo un anno di break per il doppio infortunio. Invece si è ritrovato su un aereo pieno di rimpianti perché, anche se fuori ruolo, anche se per qualche istante, ha avuto nei piedi il pallone della vittoria, e quindi almeno dei supplementari. Purtroppo il suo tiro per la foga e per la scarsa lucidità è finito addosso al portiere svedese. Il derby anche a lui servirà per smaltire lo choc. Meglio giocare subito, si dice in questi casi. Beh, mai come in questo caso sembra vero. Florenzi peraltro ha dovuto saltare i quattro della scorsa stagione e torna a vivere un Roma-Lazio, presumibilmente da terzino, dopo un anno e mezzo: l’ultima volta, nell’aprile del 2016, segnò anche il primo gol della sua vita (stra)cittadina.

IL FARAONE – Di diverso tenore è la delusione di Stephan El Shaarawy, il più giovane del terzetto: non ha potuto offrire un grande contributo alla Nazionale visto che Ventura gli ha riservato solo lo spicchio più disperato della s da. Può essere persino meglio tornare a casa con l’idea di non essere incriminato per disastro colposo. E resta quel senso di frustrazione, l’incompiutezza incontrollabile, che per assurdo gli daranno la forza per arrivare motivato al massimo al fischio d’inizio del derby. Sente, El Shaarawy, di non aver ricevuto quanto meritasse dopo la doppietta al Chelsea, dopo il capolavoro contro il Bologna, dopo essersi conquistato un posto stabile nella Roma di Eusebio Di Francesco. Ma adesso che la federazione farà tabula rasa di se stessa, avrà l’occasione di dimostrare che qualcuno l’ha sottovalutato. Già da sabato con la Lazio perché per fortuna il calcio va avanti di pancia, di adrenalina, anche senza il Mondiale.

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