La Gazzetta dello Sport – Scamacca: “Il mio sogno è l’Olimpico ma l’Olanda crede in me”

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Il ragazzino di quasi due metri che ha fatto infuriare la Roma firmando appena 16enne per il Psv Eindhoven va a scuola di gol da Ruud van Nistelrooy, per inseguire il suo sogno. Un sogno bizzarro e ambizioso, per le scelte che Gianluca Scamacca ha fatto: «Il mio obiettivo – racconta l’azzurrino Under 17 – è giocare all’Olimpico con la maglia della Roma. Se riuscirò a fare qualcosa di importante, diventando un giocatore che può interessare alla Roma, nessuno si ricorderà che sono quello che è andato via dal settore giovanile. O scappato, come dicono loro».

È andato fino in Olanda: scelta piuttosto inusuale.
«Sono il primo italiano della storia del Psv. E qui mi piace tutto, l’ambiente, le strutture, gli allenamenti. A parte forse la lingua, che non è facile: io non parlavo granché neanche l’inglese. Infatti la prima cosa che faccio la mattina è studiare l’olandese, con un insegnante privato, poi le altre materie, per finire il terzo anno di superiori: ho trovato una scuola italiana, seguo le lezioni via Skype. Poi pranzo e allenamento ».

Cambiare Paese a 16 anni non dev’essere facile.
«Con me c’è mia madre. Il Psv le ha trovato un lavoro, ma non ha ancora iniziato. Ci hanno dato casa e macchina, quando salgono anche mio padre e mia sorella ci stiamo tutti. Ma io vivo per il calcio, già a Roma mi ero trasferito nel centro tecnico di Trigoria: era un modo per concentrarmi solo sul calcio, 24 ore su 24. Alcuni ragazzi la soffrivano come situazione, io invece mi trovavo benissimo».

Perché è andato via da Roma?
«A me è sembrato un passaggio normalissimo, anche se ho cambiato Nazione. L’ho fatto per migliorare, per un percorso di crescita. In Italia nei giovani credono poco, all’estero è tutto diverso».

La cercavano altre squadre?
«Non so di altre squadre, di queste cose se ne occupano mia madre e il mio procuratore: mi hanno presentato la proposta del Psv, e io ho accettato».

Sul piano tecnico, cosa le offre il Psv che la Roma non le avrebbe offerto?
«È tutto diverso: gli allenamenti non sono più lunghi che in Italia, ma l’intensità è più alta, c’è sempre il pallone, e tutto è vissuto come un divertimento. Non c’è l’ossessione del risultato, come in Italia. E poi mi offrono un percorso di crescita, un lavoro specifico, personalizzato, con tanti ex calciatori che fanno gli istruttori: il vice della squadra B è Van Bommel, mi alleno spesso con lui, anche perché è l’unico che parla italiano. E a fare lavoro specifico con i centravanti c’è Van Nistelrooy, un mito. Non ho ancora lavorato con lui, ma non vedo l’ora di farlo».

In cosa deve migliorare? Nel gioco aereo?
«Sembra assurdo ma è proprio così: sono alto 1.95 ma di testa segno poco, non mi viene proprio spontaneo provarci. Con i piedi me la cavo, invece, anche se voglio migliorare col sinistro».

Lungagnone coi piedi buoni: quante volte l’ha sentito il paragone con Ibrahimovic?
«Tante. E mi fa piacere. Ma a me piace anche svariare, uscire dall’area, provare a lanciare i compagni. E tra i miei modelli ci sono anche dei centrocampisti. Come Pogba: così alto, slanciato, eppure fa di tutto palla al piede».

Alla Roma, una volta capito che c’era il rischio che andasse via, non le avevano offerto anche la promozione in Primavera?
«Sì, ma ho avuto l’impressione che sarei salito solo per fare numero, a cosa mi sarebbe servito? Uno all’età mia deve giocare, per crescere e migliorarsi. Il campionato Allievi è sin troppo facile, poco allenante. E i ritmi sono bassi, in Italia: quelli che ho trovato in Olanda li trovavo solo con le gare con la Nazionale. Ma fai 2-3 giorni ad alto ritmo, e poi torni nel club e rallenti. Ma attenzione, non è una critica alla Roma: io devo solo dire grazie al club: se sono in Nazionale, se sono andato al Psv è tutto merito loro. Del resto, quando mi cercarono, non ci pensai un attimo: tifoso romanista, giocavo nella Lazio, accettai al volo. In tanti dalla Lazio hanno cambiato sponda: il settore giovanile giallorosso ha un appeal fortissimo».

Però non sono stati felici della sua scelta. «Alcuni li sento ancora, su tutti Bifulco, il dirigente dei Giovanissimi. Ma anche Muzzi, un tecnico eccezionale per noi giovani, e Coppitelli, con cui ho vinto lo scudetto a giugno. Con Bruno Conti avevamo un grandissimo rapporto, c’è rimasto molto male. Ma lui è stato giocatore, anzi un grandissimo giocatore: secondo me sotto sotto la può capire la mia scelta, anche se non lo ammetterà mai. Però ho sentito tanti parlare senza conoscere la situazione. E non si può dare del mercenario a un ragazzo di 16 anni».

A 16 anni neanche compiuti, però, si può andare in panchina in Serie A, come capiterà al milanista Donnarumma, suo coetaneo. «Lui è un fenomeno, il migliore: è enorme, fortissimo anche tra i pali, bravo con i piedi, e poi è un ragazzo umile e tranquillo».

Oltre a Donnarumma, su chi altro punterebbe qualcosa? «Nei ’99 della Roma c’erano tanti ragazzi bravi, da Antonucci a Pellegrini, a Marcucci, oltre a Bianchi, che ora sta alla Juve. Ma se volete un nome solo, segnatevi il mio amico Niccolò De Angelis, numero 10, un fenomeno, classe 2000. Dicevano che era un po’ troppo vivace, ma con Muzzi si è dato una bella calmata».

La Gazzetta dello Sport – F. Oddi

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