Processo a Spalletti

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Corriere dello Sport (A.Polverosi) – I primi due casi calcistici dell’anno sono l’Inter e la Roma. Con una differenza sostanziale: se per l’Inter inesistente battuta dal Chievo si è aperto un processo, per la Roma folle battuta dal Porto e eliminata ai play-off della Champions c’è già una condanna. Alleggeriamo: se quanto ha mostrato De Boer all’impatto col calcio italiano pone per forza delle domande, l’opera di Spalletti contiene, purtroppo per la Roma, già delle risposte. Terribilmente negative. Sul piano economico e sportivo è stata scritta la prima pesantissima sconfitta. Per rimediare, da qui alla fine della stagione, c’è una sola possibilità: lottare fino in fondo (e non fino a marzo) per lo scudetto. De Boer arriva dall’Olanda, deve capire tutto del calcio italiano. Spalletti arriva da Certaldo e del calcio italiano sa tutto da sempre. Ecco perché è sorprendente, quasi inspiegabile quanto è successo nell’arco di 180 minuti, i più importanti di tutta la stagione. Guardavamo la partita dell’Olimpico con un’espressione mica tanto intelligente: a bocca spalancata, con gli occhi a palla, increduli dello spettacolo offerto dalla Roma, incapaci di capire perché mai stesse accadendo quello che stava accadendo. Non passi per un paradosso, ma l’unico gesto… normale (che non significa perdonabile) è stato quello di De Rossi: se un giocatore con una montagna di partite in Nazionale e in Serie A si fa cacciare per la 14ª volta in carriera per un fallo di quel tipo, mica devi cercare una spiegazione. E’ così. Come dicono a Roma, gli parte la brocca. Se lo fai giocare, sai che corri quel rischio. Punto e basta.

SQUADRA CARICATA TROPPO E PAREDES AVEVA… PAURA – Paredes e Strootman sono più forti di Pjanic. Quando Spalletti ha lanciato la sua coppia di centrocampisti oltre il bosniaco, al di là della valutazione che fatichiamo a condividere (oh, ma lui li ha allenati, lo saprà meglio di tutti gli altri), probabilmente lo ha fatto anche per aumentare la loro autostima. Poi è successo che Paredes ha completamente sbagliato la partita e Strootman è riemerso solo nella ripresa, con la squadra in 9, quando invece della tecnica c’era bisogno della rabbia. Forse la carica del tecnico è stata eccessiva. E nemmeno la preparazione della gara di ritorno ha convinto. Alla vigilia, Spalletti ha spinto molto sulla squadra. «Il risultato dell’andata deve essere spazzato via, questa è la partita decisiva. Chi ha paura di giocarla non è da Roma». Tutto giusto, tutto condivisibile, a un patto però: la certezza, da parte del tecnico, che quel messaggio venisse recepito nel modo corretto dalla platea di Trigoria. Era un messaggio per adulti. Invece Paredes, che l’anno scorso ha fatto un grande campionato da regista, è diventato subito quel giocatore di cui Spalletti parlava, uno con la paura di giocare questa partita. Ed Emerson Plamieri ha fatto ancora peggio, entrando non in campo ma sul ring. Sono due ragazzi del ‘94, tutt’e due al debutto in Champions, e quella responsabilità li ha travolti e stravolti.

PORTIERI, CHE TOUBILLON! DE ROSSI NON E’ “CENTRALE” – Alla vigilia di Porto-Roma, Spalletti dice che di volta in volta andrà in porta quello che lui vede meglio in allenamento. Detto che per un portiere la tranquillità conta più di tutto, Alisson a Oporto non va male, ma con l’Udinese e al ritorno col Porto gioca Szczesny, responsabile del 2-0 di Otavio. Passiamo a De Rossi difensore centrale. Ha giocato pochissime volte in quella posizione in una difesa a 4, ci provò Prandelli in Nazionale proprio all’Olimpico in un’amichevole con l’Argentina e poi lasciò perdere: fu un mezzo fallimento. Se a 30 anni faticava in quel ruolo, a 33 mica poteva essere più facile. E poi contro un attacco di ragazzini agili, rapidi e sguscianti, l’esatto opposto di De Rossi. Qualcuno dice che Spalletti non si fidi ancora di Fazio. Sarà, ma a Oporto, negli ultimi 15 terribili minuti, aveva messo in campo proprio l’argentino e la Roma non aveva più rischiato niente. D’accordo, la difesa era a 3, ma Fazio era sembrato in buone condizioni. Ed è vero pure che l’anno scorso ha giocato poco, ma per Spalletti è irrilevante visto che Strootman era fermo da due anni e mezzo e ha giocato tre gare in 7 giorni. Al ritorno, anziché mettere i giocatori al loro posto, Spalletti ha preferito spostare De Rossi in difesa, lasciare un difensore centrale di ruolo (Fazio) in panchina e tenere l’altro (Juan Jesus) a sinistra.

CHE ERRORI SULLE ESPULSIONI. E IL CAMBIO DZEKO-ITURBE… – La partita di Oporto è cambiata con l’espulsione di Vermaelen dopo 40 minuti. Spalletti ha tolto Perotti per inserire Emerson Palmieri, spostare Juan Jesus al centro e mantenere così la difesa a 4. La squadra si è schierata col 4-3-2, con Salah poco distante da Dzeko, consegnando le due fasce ai portoghesi. L’intenzione di Spalletti era lodevole, ma basata su una errata valutazione della sua squadra: voleva ripartire con Salah. Per ripartire, però, occorre la palla che la Roma non riusciva mai a strappare al Porto. Così Maxi Pereira, il terzino annientato all’Olimpico da De Rossi col suo fallo, nel secondo tempo del Dragao si è trasformato nel vecchio Dani Alves: aveva tutto lo spazio libero. Al ritorno, il tecnico toscano ha fatto lo stesso cambio alla prima espulsione: ancora dentro Emerson Palmieri, stavolta al posto di Paredes, con Juan Jesus spostato al centro. E Fazio, difensore centrale, ancora in panchina. La sostituzione che ha davvero colpito (anche se di fronte allo sfracelo è passata in secondo piano) è stata quella di Dzeko con Iturbe dopo un’ora di partita. La Roma era in 9, ma il risultato era ancora di 0-1 e Perotti, un attimo prima, era arrivato vicino all’1- 1. Ma che c’entra Iturbe in quella situazione? Ci vuole uno che abbia le idee chiare e non è il suo caso. E poi Dzeko quanto meno stava lottando.

TRE GARE, TANTA SOFFERENZA. FISICA MA ANCHE MENTALE – Per i giornalisti, questo è un terreno infido. Ormai la preparazione fisica si basa su aspetti scientifici, i preparatori raccolgono dei dati che farebbero impallidire anche gli ingegneri della Nasa, dati che restano ancora più segreti di quelli della Nasa. Alla fine, però, è la partita che presenta il risultato finale e dalle prime tre gare della Roma si evince quanto segue. Debutto a Oporto: 30 minuti a grande ritmo, intensità e scioltezza, 15 in calo, poi un secondo tempo in 10 uomini di totale sofferenza. Contro l’Udinese: primo tempo senza scatti, senza velocità, con un solo tono, con una lentezza estenuante, secondo tempo brillante, veloce e convincente sul piano del ritmo. Terza gara contro il Porto: già prima del gol, squadra lenta oltre che preoccupata, dopo il gol di Felipe ancora peggio (ma probabilmente qui la testa ha inciso più delle gambe), secondo tempo in nove e giocato tutto sul filo dei nervi. Se, come dice Spalletti ma come è pure ovvio, le due gare di Champions sono quelle più importanti della stagione, allora la Roma deve arrivarci in una condizione diversa. Condizione fisica e mentale. Gambe e testa devono sorreggersi insieme, proprio quello che non è successo, per colpa dei singoli (Vermaelen, De Rossi ed Emerson Palmieri in testa) e del collettivo.

SULLO 0-1 E LA SQUADRA IN 9 TOTTI POTEVA FARE LA DIFFERENZA – Tre partite, zero minuti. Non è uno scandalo e nemmeno qualcosa di inatteso, di imprevisto. Quando ha firmato il contratto, Totti sapeva già che avrebbe trascorso buona parte di questa sua ultima stagione in panchina. Però questo non ci solleva da un’osservazione: probabilmente il capitano avrebbe fatto comodo quando la squadra era in 9 e ancora sullo 0-1. In quelle condizioni, la partita poteva essere riacciuffata solo in due casi, o con un miracolo o con 40.000 romanisti in campo, con uno stadio che avrebbe terrorizzato il Porto. E a Roma quell’operazione quasi mistica può realizzarla solo Francesco Totti. Quando è entrato Iturbe, invece del capitano, non c’è apparsa come una decisione umiliante nei confronti del numero 10, ma come la mortificazione di quelle rare, folli speranze a cui la Roma era ancora aggrappata. Un tiro, una punizione, una palla che nessuno immagina, di questo è ancora capace Totti. La sua presenza avrebbe alleggerito e spinto i suoi compagni e scatenato l’Olimpico. Il messaggio sarebbe stato chiaro: facciamo l’impresa che nessuno ha mai fatto. Ci sono dei giocatori che vanno oltre la partita, sono rari, ma esistono. Totti fa ancora parte di questa minuscola categoria maiuscola. Iturbe, con tutto il rispetto, no.

SIA EMERSON PAREDES NON ALL’ALTEZZA DELLA SFIDA – Nelle due partite contro la Roma, il Porto ha presentato in campo questi attaccanti: André Silva 21 anni, Jesus Corona 23 e Otavio 21. Nessuno dei tre è sembrato a disagio sul piano del temperamento e della personalità. Nessuno dei tre, probabilmente, giocherà mai nel Barcellona e nel Real Madrid, sono solo buoni attaccanti. I tre ragazzi del Porto giocavano con serenità, i due della Roma con il terrore. Spalletti ha presentato Leandro Paredes ed Emerson Palmieri tutt’e due di 22 anni. Al Dragao, Palmieri ha commesso il fallo di mano che ha provocato il rigore dell’uno a uno, mentre al ritorno ha imitato il suo capitano De Rossi entrando non con il piede a martello, ma con il piede a incudine sulla gamba di Jesus Corona. Aveva fatto il suo ingresso in campo al 41′ del primo tempo, è stato espulso al 5′ del secondo. Paredes, invece, è stato sostituito quando hanno cacciato De Rossi. Aveva sbagliato totalmente la partita. Il passaggio dal Castellani di Empoli all’Olimpico di Roma, da un campionato tranquillo a una sfida di questa tensione, è stato troppo pesante. Non c’è da vergognarsene, può accadere a quell’età, era stato così anche per Saponara quando andò al Milan. Il problema è nell’errore di valutazione: non erano pronti per una sfida del genere.

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