I possibili scenari giuridico-procedurali dell’iter del progetto Stadio della Roma

Pagine Romaniste (A.Mencarelli) – Nella riunione della Conferenza dei servizi del 12 gennaio 2017 non si sono registrate significative novità in merito all’iter per l’adozione da parte di Roma Capitale della variante urbanistica, necessaria all’approvazione finale del progetto. Come si legge nel resoconto della riunione pubblicato sul sito web della Regione Lazio, “Roma Capitale si è impegnata a completare rapidamente l’iter amministrativo per consentire agli enti e, in via conclusiva alla Conferenza di Servizi, di esprimersi entro la data del 1 febbraio, ultimo giorno utile per fornire i singoli pareri propedeutici per la redazione del parere unico”. Il resoconto ribadisce, poi, “che nei giorni precedenti lo svolgimento dell’ultima Conferenza di servizi dovrà essere definita, da parte di Roma Capitale, la variante urbanistica per consentire l’espressione dei pareri di Via e Vas e concludere la Conferenza stessa”.

Al netto delle restanti questioni progettuali, che appaiono in via di soluzione, prima che possa arrivarsi ad una positiva conclusione del procedimento rimane, dunque, da sciogliere il nodo della variante urbanistica. Variante urbanistica non ancora adottata evidentemente in ragione del fatto che non si è ancora pervenuti ad un accordo definitivo tra Roma Capitale e soggetto proponente in merito alle possibili modifiche da apportare al progetto, che potrebbero prevedere anche una riduzione delle volumetrie complessive, nel rispetto dell’equilibrio economico-finanziario dell’opera e dei termini che regolano il procedimento in corso.

Considerata la ristrettezza dei tempi che restano prima della conclusione del procedimento (fissata per l’1 febbraio), può essere utile provare ad immaginare, in modo schematico, quali potrebbero essere i diversi scenari giuridico-procedurali per l’epilogo della vicenda:

A) Scenario in cui la variante urbanistica, in caso di perdurante inerzia di Roma Capitale, si ritiene adottata in via semplificata.

In questo scenario possono darsi due alternative:

1. l’Assemblea capitolina, in esito alla trattativa attualmente in corso tra Roma Capitale e soggetto proponente, adotta la variante urbanistica comprensiva delle eventuali rimodulazioni volumetriche e progettuali; la variante viene pubblicata a fini urbanistici sull’albo pretorio e la fase delle osservazioni/controdeduzioni è svolta in seno alla stessa Conferenza dei servizi; al termine della fase delle osservazioni/controdeduzioni, la Giunta regionale approva la delibera che conclude i lavori della Conferenza dei servizi decisoria, con una determinazione motivata favorevole al progetto, comprensiva delle eventuali modifiche apportate; la determinazione finale della Giunta regionale comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza del progetto; a seguire, l’Assemblea capitolina torna a riunirsi per approvare definitivamente la variante (in modo che sia incorporata nel PRG) e lo schema di convenzione urbanistica ed il procedimento amministrativo si conclude, con conseguente rilascio dei permessi di costruire e avvio dei lavori di costruzione;

2. l’Assemblea capitolina non adotta la variante entro il 31 gennaio 2017; a questo punto la Regione considera la variante adottata in via semplificata ai sensi dell’ 19, co. 2, del testo unico in materia di espropriazione per pubblica utilità (DPR n. 327/2001) e dall’art. 50-bis della legge della Regione Lazio n. 38/1999 (Norme in materia di governo del territorio), secondo i quali, quando l’opera di interesse pubblico non risulta conforme alle previsioni urbanistiche, anche l’approvazione del progetto preliminare da parte del consiglio comunale (che, per il progetto Tor di Valle, è già avvenuta con la delibera n. 132/2014) costituisce adozione della variante allo strumento urbanistico” (in tal senso sembra deporre anche un parere della Regione Lazio del 2011, prot. 1272010, nel quale si precisa che anche le opere di interesse pubblico realizzate da soggetti privati soggiacciono al regime delle varianti semplificate previsto dalle disposizioni sopra richiamate); in tale scenario, resterebbe tuttavia da capire quale orientamento assumerebbe l’Assemblea capitolina al momento dell’approvazione definitiva della variante e dello schema di convenzione urbanistica al termine dei lavori della Conferenza dei servizi.

B) Scenario in cui la Regione Lazio non ritiene applicabile la procedura della variante semplificata illustrata alla lettera A), punto 2

In tal caso, possono ipotizzarsi diversi sotto-scenari:

1. l’Assemblea capitolina adotta la variante entro il 31 gennaio 2017 e si segue la procedura indicata sopra alla lettera A), punto 1;

2. l’Assemblea capitolina non adotta la variante entro il termine intimato dalla Regione; in tal caso la Regione potrebbe seguire due vie alternative:

– ritenere applicabile il principio del silenzio-assenso disciplinato dall’art. 14-ter della legge n. 241/1990 (nel testo della “riforma Madia”), il quale stabilisce che, ai fini dell’adozione della determinazione motivata di conclusione della Conferenza dei servizi, si considera acquisito l’assenso senza condizioni delle amministrazioni il cui rappresentante, pur partecipando alle riunioni, non abbia espresso la propria posizione, ovvero abbia espresso un dissenso non motivato;

ovvero

ritenere non sufficiente il silenzio assenso per considerare perfezionata la variante urbanistica (trattandosi di atto discrezionale di pianificazione urbanistica e non di “atto dovuto”) ed arrestare pertanto il procedimento senza pervenire ad alcuna conclusione.

A questo punto, qualora si concretizzasse tale ultimo scenario (ossia laddove la Regione non ritenesse possibile concludere il procedimento in Conferenza dei servizi applicando istituti surrogatori dell’inerzia dell’amministrazione comunale; e sembra questo, al momento, l’intendimento della Regione, stando alle dichiarazioni dei suoi esponenti, salve possibili proroghe consensuali del termine di conclusione dei lavori), l’iniziativa per uno sblocco della situazione passerebbe in capo al soggetto proponente, il quale potrebbe ricorrere al TAR oppure decidere di affidarsi ai poteri sostitutivi della Presidenza del Consiglio dei ministri. In particolare, nell’ipotesi del ricorso al TAR, il proponente potrebbe impugnare, ai sensi dell’art. 117 del decreto legislativo n. 104/2010 (Codice del processo amministrativo), il silenzio inadempimento del comune nell’adottare la variante urbanistica, sul presupposto che la variante debba considerarsi un atto dovuto alla luce della mancata espressione da parte di Roma Capitale in sede di Conferenza dei servizi di una posizione formalmente e complessivamente contraria al progetto; in tal caso:

a) il TAR, censurando l’inerzia dell’amministrazione comunale, potrebbe accogliere il ricorso del proponente e nominare un commissario ad acta che, in luogo del comune, adotti la variante, ricavandone gli elementi essenziali dalla delibera dell’Assemblea capitolina n. 132/2014;

ovvero

b) il TAR (salva la possibilità di prevedere a carico del comune un indennizzo a favore del proponente per il “danno da ritardo” a norma dell’art. 2-bis della legge n. 241/1990) potrebbe respingere il ricorso (in considerazione della natura discrezionale della variante, non assimilabile alla categoria degli atti dovuti), ferma restando la possibilità per il proponente di ricorrere nuovamente, per diversi motivi, al giudice amministrativo.

In alternativa, come detto, il soggetto proponente potrebbe decidere di ricorrere subito, senza esperire rimedi giurisdizionali, ai poteri sostitutivi del Consiglio dei ministri, ai sensi del comma 304, lettera c), della legge n. 147/2013, imputando alla Regione la responsabilità della mancata conclusione del procedimento. In tal caso, decorsi inutilmente gli ulteriori termini previsti dalla disposizione sopra richiamata, il Consiglio dei ministri potrebbe: 1) accogliere la richiesta del proponente e, considerando la variante quale atto dovuto in assenza di una formale revoca o diversa valutazione dell’interesse pubblico, approvare il progetto sostituendosi alla Regione e a Roma Capitale; 2) non accogliere la richiesta del proponente, sulla base della motivazione che i poteri sostitutivi previsti dalla legge n. 147/2013 non riguardino le procedure urbanistiche ordinarie e i poteri pianificatori di competenza del Comune, rimanendo questi disciplinati dalle vigenti disposizioni statali e regionali in materia (in tal caso l’iter resterebbe pertanto paralizzato e il proponente potrebbe semmai esperire i rimedi giurisdizionali sopra descritti).

C) Scenario in cui l’Assemblea capitolina delibera l’annullamento in autotutela della delibera n. 132/214 ex art. 21-nonies della legge n. 241/1990, annullando così integralmente il pubblico interesse dell’opera.

Si tratta di uno scenario estremo ed assai poco probabile, che qui si considera a titolo puramente accademico. Ove fosse annullata la dichiarazione di pubblico interesse, il proponente – prima ancora di impugnare i profili relativi alla congrua motivazione dei sopravvenuti motivi di interesse pubblico posti alla base dell’annullamento – potrebbe facilmente dinanzi al giudice amministrativo appellarsi, in via pregiudiziale, ad argomenti di ordine formale, il primo dei quali consisterebbe nel rilievo che, nel particolare procedimento delineato dalla legge n. 147 (caratterizzato da una pluralità di fasi sub-procedimentali), un annullamento in autotutela sarebbe al riparo da censure di illegittimità solo ove deliberato prima della trasmissione degli atti alla Regione Lazio da parte di Roma Capitale. Una volta, invece, avviata la fase della Conferenza dei servizi decisoria (che è organo tecnico, e non politico, tendenzialmente preordinato ad una positiva conclusione del procedimento), un sopravvenuto annullamento della dichiarazione di pubblico interesse invaliderebbe un iter decisorio giunto quasi al termine, che ragioni di economia procedimentale avrebbero suggerito di arrestare prima del suo inizio, e comprometterebbe aspettative giuridicamente qualificate del proponente, denotando una irrazionalità di fondo dell’azione amministrativa comunale che sarebbe chiaro indice di un vizio di eccesso di potere per manifesta irragionevolezza.

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