Pioli e Garcia, un solo destino: da star ad allenatori a rischio

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La Repubblica (G. Cardone / M. Pinci) – Nel derby di quattro mesi fa si spartivano il podio d’Italia, oggi la Capitale li processa. Stefano Pioli e Rudi Garcia sono la ruota sgonfia negli ingranaggi di Lazio e Roma. Solo 6 punti in 4 gare per il biancoceleste, giusto la metà dell’Inter capolista. Il giallorosso ne ha due in più del dirimpettaio, ma l’aria di Trigoria è pesante quanto quella di Formello, e l’accusa punta sempre l’indice contro l’allenatore. L’incrocio genovese – la Lazio ospita il tabù Genoa, con cui perde da 8 partite consecutive, la Roma va a Marassi dalla Samp del “romanista” Ferrero – è già una prova d’appello per entrambi.

Monsieur Rudi probabilmente lo sa, chiede fiducia ma ci piazza la data di scadenza: “Giudicateci dopo il ciclo con Samp, Carpi, Bate e Palermo”. Ossia prima della sosta, guarda caso i giorni in cui a Roma arriverà Mr Pallotta. Ma già lunedì SabatiniBaldissoni hanno discusso a lungo della situazione allenatore: il segno tangibile di una popolarità ormai in caduta libera tra gli uffici di Trigoria.

Quella di Pioli ha iniziato a precipitare il 26 agosto: lo 0-3 di Leverkusen è una ferita ancora aperta nonché la prima figuraccia in trasferta, seguita dai disastri di Verona (0-4) e Napoli (0-5). Quella sera è iniziata la crisi laziale, annodata in equivoci tattici, cambi di modulo, infortuni, esclusioni. Anche stavolta l’euforia per un’annata da incorniciare in casa Lazio è naufragata in un caos tecnico che mette a repentaglio il futuro dell’allenatore. Ci è cascato Petkovic nel 2013, dopo il leggendario 26 maggio, scenario analogo aleggia su Pioli. «Siamo in ritardo – dice- e dobbiamo sbrigarci a ritrovare la rotta». E se i tifosi imbrattano Formello (“11 indegni”), lui prova almeno a recuperare convinzione: «Dimostrate di credere nel mio progetto », ha urlato ai suoi in ritiro. Il segno che forse qualche crepa nella fiducia della squadra l’ha percepita pure l’allenatore. I veleni estivi, dalla fascia della discordia che ha irritato Candreva ai propositi di fuga di Biglia e alle pretese di giocarle tutte della sorella-manager di Felipe Anderson, sono brace accesa sotto la cenere della depressione che logora lo spogliatoio. E stasera i tifosi contesteranno all’Olimpico.

Quelli della Roma hanno fatto lo stesso – ma per polemica con il prefetto – domenica. I malumori che inquinano Trigoria però hanno un nome diverso, inflazionatissimo: turnover. Quando il tuo presidente spende oltre 50 milioni per regalarti Dzeko, Salah, Falque e compagnia, può pure pretendere che tu batta il Sassuolo in casa. Se invece pareggi sacrificando in panchina quattro sesti della campagna acquisti, tra cui il pezzo più pregiato, t’esponi al tiro a segno. Il Totti “triste” visto col Sassuolo non andrà a Genova per un guaio alla mano: di sicuro non è semplice per il tecnico gestire l’umore di una squadra che gli rimprovera di studiare poche alternative al gioco ormai arcinoto eseguito in modo scolastico da 3 anni. Di fronte alle accuse, gli allenatori non rinunciano all’arringa. Pioli mette le mani avanti e fa, senza essere pungolato sul tema: «Ci tengo a precisare che non mi sento tradito dalla squadra ». Un po’ come Garcia, che gli 8 punti in classifica li difende così: «I nostri risultati non mi sembrano catastrofici». I padri latini della città potrebbero chiosare con il classico “Excusatio non petita, accusatio manifesta”.

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