La Stampa – Pallotta: “Lo stadio ricorderà il Colosseo. Zeman? Vediamo i risultati…”

Look casual, giubbotto sportivo e sciarpa giallorossa al collo, sono le 14.30 di domenica quando James Pallotta si siede al bancone del «soccer bar» dell’East Village sulla 11° Strada.
Il «Nevada Smith’s» è il pub dove i tifosi della Roma si ritrovano per vedere le partite della loro squadra e del campionato italiano. Riconoscono il super-manager divenuto presidente nello scorso agosto ma, a primo tempo di Napoli-Roma già iniziato con l’immediato gol di Cavani, nessuno osa disturbarlo. Lui si accorge di essere riconosciuto e manda il barista da loro: «Cosa bevete, ragazzi? Offre il presidente».

Quando arriva l’intervallo, i giovani romanisti si avvicinano per parlargli, salutarlo e chiedergli che progetti ha per la squadra di Zdenek Zeman e del loro idolo Francesco Totti.
E lui parla subito, a getto, di quanto sembra avere più a cuore: il nuovo stadio di Tor di Valle. «Sarà il più bello di tutti, avrà una forma che ricorda il Colosseo, potrà ospitare sugli spalti fino a sessantamila spettatori ed avrà ristoranti e musei», senza escludere la possibilità di arrivarci anche grazie a un servizio di barconi lungo il Tevere, che scorre non troppo distante.

James Pallotta ama la Roma ma lo spiega in inglese, è un protagonista della business community e vede nel nuovo stadio il volano di un decollo economico della AS Roma capace di «ripetere il modello Barcellona».
E’ una frase che lascia intendere anche un possibile riferimento allo sponsor tecnico della Nike, anche se finora si è parlato dell’Adidas. La conversazione continua a tutto campo, Pallotta non nasconde di non essere un grande sostenitore del presidente Barack Obama e quando gli chiedono cosa pensa dell’allenatore Zeman, ribatte con un sibillino «prima vediamo i risultati sul campo, poi ne riparliamo. E comunque non sta a me decidere su queste cose», con il quale rimette la responsabilità in materia sulle spalle di Thomas Di Benedetto, il suo predecessore, «che sta a Roma».

E’ una risposta da top manager a stelle e strisce: mai scavalcare chi si trova sul campo a gestire gli investimenti. Il secondo tempo, con il dilagare dei gol del Napoli fino al 4-1 conclusivo, riserva più di qualche dispiacere ai tifosi giallorossi ma lo stile del presidente di fronte alla sconfitta è molto americano.
Non si dispera né esterna sconforto alle reti degli avversari, assiste al match prendendo atto di cosa avviene sul campo del San Paolo ma con la mente rivolta agli obiettivi futuri e, a ultimo fischio avvenuto, continua a parlare del debutto dello stadio, che prevede per il 2016. E dell’intento di ripetere nella Città Eterna il modello di squadra del Barcellona che definisce, a più riprese, «sicuramente la più forte del mondo».

Riguardo all’obiettivo dello scudetto, afferma di «averlo bene in mente» ma senza azzardare in particolari scadenze affrettate. Prima di lasciare il «soccer bar» è lui a tornare dai tifosi, gli stringe la mano uno ad uno, chiede che lavoro fanno, perché sono a New York, che progetti hanno e quale legame hanno con Roma.
Nella sfida di questi ragazzi che scommettono il futuro nella Grande Mela il presidente giallorosso fa capire di rivivere le storie di immigrazione che hanno segnato la sua famiglia. Dopo aver brindato con un «Forza Roma» si sofferma infatti sul ricordo di «mio padre che arrivò come voi da Roma mentre mia madre è pugliese». James Pallotta poi dà appuntamento a tutti «alla prossima partita», promettendo di tornare da Boston, dove vive e siede nel comitato esecutivo dei Celtics del basket Nba, sua grande passione, per immergersi nel «soccer bar» più giallorosso di Manhattan
La Stampa – Maurizio Molinari

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