Mancini: «Roma, ricordi la mia notte?»

Corriere dello Sport (R.Maida) – Esattamente 10 anni fa i giallorossi si qualificarono in Francia grazie a Totti e alla magia del brasiliano Amantino Mancini.

I doppi passi. Li ha mai contati?
«Certo. Otto».

Alessandro Amantino Mancini, mica ricorderà anche il nome del terzino del Lione…
«Ma dai: Reveillere».

Eh no, certe serate non si scordano. Dieci anni e un giorno fa. La Roma arriva a Lione da sfavorita, non solo perché ha pareggiato 0-0 all’andata all’Olimpico ma anche perché il Lione è una squadra fortissima. Viene considerato tra le favorite della Champions League mentre la Roma, guidata da Luciano Spalletti, è una realtà emergente. Eppure alla Gerland, il vecchio stadio del Lione, segna subito Totti di testa.

E poi, un contropiede. Ce lo racconti, Mancini.
«Mi dà la palla Francesco. E io vado dritto verso la porta, basandomi su un principio: l’area di rigore protegge l’attaccante, perché il difensore non può toccarti e ha paura. Faccio un doppio passo, poi un altro, sposto il pallone, tiro di sinistro. Un gol incredibile».

Quante volte l’ha rivisto?
«Trecentoduemila volte».

Il migliore della sua carriera?
«Ah no, quello è stato il primo che ho fatto in Italia. Nel derby. Colpo di tacco al volo».

Come vengono in mente certi gesti tecnici?
«Conta tutto: istinto, qualità, fortuna, io direi anche la fantasia brasiliana che non guasta. Se rivedete quel calcio d’angolo di Cassano, nel derby, anche Emerson fa lo stesso movimento. Magari se non la prendo io, il tacco lo prova lui».

Ma non avrebbe segnato.
«Chi lo sa. Era forte, anche Emerson».

L’Emerson di oggi, Palmieri, com’è? Da brasiliano a brasiliano…
«Bravo, lo conosco bene. Ha qualità. Come Bruno Peres».

In questa Roma, con questo Spalletti, Mancini giocherebbe titolare?
«Sono sincero: sì».

Non vede un altro come lei a Trigoria?
«Beh, io avevo delle caratteristiche particolari: ero veloce, potente, saltavo l’uomo e segnavo tanto. Non so quanti brasiliani abbiano fatto 59 gol nella Roma».

Qualcuno sì. Da Costa ad esempio. Ma in effetti non sono tanti…
«Comunque: Salah è velocissimo, Perotti è bravo a dribblare, io ero un calciatore diverso».

La Roma di oggi è più forte della sua?
«Difficile dirlo. Sono squadre differenti. La mia era letale sulle ripartenze, questa forse ha più qualità nei giocatori».

E’ più facile adesso di dieci anni fa eliminare il Lione?
«Non ci sono dubbi. Quello era uno squadrone. Per me la Roma passa il turno ed è la favorita per vincere l’Europa League. Spero che succeda, anzi, perché ho i tifosi nel cuore. Di più, tifo Roma anche da quaggiù, dal Brasile».

Perché allora la lasciò, solo un anno dopo il gol di Lione?
«Nel calcio può succedere di separarsi. So che la gente ci è rimasta male, qualcuno mi diede del traditore, ma la verità è che il mio trasferimento all’Inter mise tutti d’accordo. Anche la Roma, che aveva bisogno di soldi e fece una plusvalenza incredibile: a un anno dalla scadenza del contratto venni pagato 13 milioni più bonus. Tanto. Di sicuro non fui io a chiedere di andare via».

Con la Roma di oggi ha rapporti?
«Con Spalletti soprattutto. So che è stato il suo compleanno, quindi gli mando attraverso quest’intervista gli auguri. Ogni tanto lo sento e lo ringrazio, perché è stato il miglior allenatore della mia carriera».

E per uno che ha avuto Capello e Mourinho, tra gli altri, non è un complimento da poco…
«Ma anche loro mi hanno insegnato tanto. A Capello devo lo status di insostituibile che mi assegnò appena arrivato alla Roma. Era il 2003, nessuno mi conosceva, ero stato a Venezia sei mesi senza giocare, ma mi disse subito: tu giocherai esterno destro di centrocampo nel mio 4-4-2».

Con Mourinho non ha avuto altrettanta fortuna. E dopo la Roma, in generale, la sua carriera è andata in calando…
«All’Inter e al Milan ho avuto anche problemi fisici. Mourinho all’inizio mi faceva giocare, poi cambiò modulo e preferì puntare su altri. Pensi che sfiga: sono andato via a gennaio nella stagione del triplete…».

Tornando indietro, lascerebbe la Roma?
«Non guardo mai indietro. Perderei tempo a pensare al presente e al futuro».

Ovvero?
«Ho aperto un’azienda di costruzioni a Belo Horizonte. Ho una bella famiglia con tre bimbi. Ma a settembre mi trasferirò di nuovo a Roma, dove ho ancora casa, perché mi iscriverò al corso di Coverciano. Voglio allenare».

Come Spalletti?
«Magari. Ma lui è cambiato rispetto a dieci anni fa: è più vecchio… No, scriva che scherzo per favore. Ripeto, Luciano è il top».

Resterà alla Roma, Spalletti?
«Sì. Dove volete che vada?».

Nel vostro periodo in comune a Trigoria, arrivarono tante gioie ma anche una delusione terribile: il 7-1 di Manchester. Come spiega quel capitombolo?
«Mamma mia, ancora ne parlo con Doni, il portiere. Che cavolo abbiamo combinato? Non riusciamo a darci pace. Devo però aggiungere che Cristiano Ronaldo giocò una partita pazzesca. Sembrava un diavolo tra i diavoli».

Totti che compagno era?
«Un ragazzo silenzioso, un calciatore fantastico. A suo modo carismatico. Ma di leader ne ho incontrati tanti a Trigoria: Emerson, Samuel, Chivu. E poi De Rossi, che era con me in stanza: conosceva benissimo Roma e la Roma, anche se era giovane. Mi aiutò a capire dove fossi capitato. Aveva ragione su tutto: a Roma ho vissuto gli anni più belli della mia vita».

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