Il Romanista – Servono gioco e attributi

Sesto posto in classifica. Fuori dall’Europa League per mano di una squadra di sconosciuti. Fuori dalla Coppa Italia. Stessi punti dell’Atalanta di Colantuono. Più gol subiti del Siena. Dieci – dieci! – punti di distanza dalla Lazio. Una stagione che, da interlocutoria, rischia, parole del ds Sabatini, di scadere nella «mediocrità» e di diventare, da qui a maggio, fallimentare. La fotografia della Roma è questa. E dai numeri non si può scappare. Ma la fotografia della Roma è anche quella di un allenatore che, seppur molto scosso e deluso dagli ultimi risultati, non intende abbandonare. Resta alla Roma fino a fine stagione e anche l’anno prossimo. E la Roma resta accanto a lui, convinta delle sue idee, della sua professionalità e della sua serietà. Ma, e il ma stavolta è grande come l’amarezza che segue il secondo derby di fila perso e quei cori di scherno della Curva Nord difficili da digerire, qualcosa cambierà. Inutile parlare di rivoluzione, che bene fin qui non ha portato.

Meglio la concretezza. E i fatti, anche in questo caso. Quindi. Da qui alla fine del campionato mancano 12 partite. Un’enormità. 36 punti in palio. Due mesi da onorare. Per i tifosi, senza retorica, per la maglia. Per se stessi. Perché è giusto così. Perché c’è un obiettivo che si chiama Europa League da centrare e da onorare l’anno prossimo. Basta seguire l’esempio del Manchester United. Per capirsi. Non solo: adesso i giocatori e l’allenatore dimostrino di essere da Roma. La squadra, a parole e nei fatti, sta col tecnico. Pur con qualche perplessità che deve essere chiarita altrimenti a lungo andare rischia di crearsi una frattura difficile da risanare. Esempi: perché Simplicio che non gioca da un mese all’improvviso viene schierato titolare? Perché uno con l’esperienza di Perrotta non viene più preso in considerazione? Perché si soffre così tanto sulle palle inattive? Perché il giocatore più forte della Roma e il cannoniere più prolifico degli ultimi venti anni in Italia è stato allontanato dalla porta? Perché, all’improvviso, Rosi in panchina e José Angel, in evidente difficoltà, dall’inizio in una partita così difficoltà, dall’inizio in una partita così complicata come quella contro la Lazio? Perché i casi De Rossi e Osvaldo?

I leader del gruppo cominciano a farsi sempre più domande. Seguono l’allenatore, come detto, ma la mancanza di risultati incide. E anche la mancanza di prestazioni, visto che nel girone di ritorno la Roma, 7 punti in 7 partite, ha mostrato solo con la disastrata e disastrosa Inter di Ranieri quel gioco che tanto aveva impressionato a cavallo delle feste. Già, Natale. Probabilmente uno dei più grandi equivoci della stagione romanista. Le partite contro Juventus, Napoli, Bologna e Cesena avevano fatto pensare a una Roma che aveva solo bisogno di sfoltire la rosa e che i giocatori che c’erano erano in grado di arrivare a fine stagione per provare a lottare almeno per il terzo posto. Così non è stato e il mercato di gennaio, col solo Marquinho arrivato, è stato insufficiente. A giugno anche questo cambierà.

Tra un mese è in arrivo James Pallotta: per lui aumento di capitale in programma ma anche la rassicurazione a tutti i dirigenti che la Roma in estate potrà operare sul mercato con la liquidità necessaria a creare una squadra competitiva. Arriveranno giocatori forti e affermati e le parole di De Rossi di domenica sera sono state chiarissime: «Servono campioni, come al Milan». Difficile dargli torto. Soprattutto a lui, il primo a sposare, e non solo a parole, la Roma di Luis Enrique. Una Roma che si lecca le ferite, che analizza gli errori di questi mesi ma che va avanti consapevole della serietà di quanto finora. La strada, pensano a Trigoria, è quella giusta. E gli ostacoli verranno superati. Tutti ne sono convinti. La gente romanista si interroga, guarda e aspetta. Mai schiava del risultato sì. Ma anche con tanta voglia che questi risultati arrivino presto. Già da sabato.
Il Romanista – Chiara Zucchelli

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