Corriere dello Sport – Vincere divertendo. Il sogno di Lucho più forte anche di qualche intoppo

La sfida. Le idee. Il percorso. Il gioco. L’identità. La vittoria a Bologna, che non è altro che la somma di tutte le voci precedenti. Voci che non possono non avere un che di affascinante per chi ama vedere giocare a calcio. Palla a terra, possesso palla, esterni bassi ma alti come Garrincha, regista di centrocampo che diventa il centrale dei centrali difensivi, non buttare mai via il pallone, continuare a giocare alla stessa maniera, intensità, pressing alto che più alto non si può, corti, veloci, attaccare la palla. La sfida, le idee, il percorso, il gioco, l’identità.

E’ la Roma vista per un’ora in campo a Bologna, l’obiettivo finale. Semplicemente bellissima. Si può, l’abbiamo vista, non è un’utopia come dicevano del calcio di Zeman al quale a Pescara pare vogliano erigere un monumento. E non lo diciamo noi solo perché affascinati dal sogno che può sconfinare nell’utopia, lo dicono gli altri allenatori. Pure quelli che, magari, stavano festeggiando una successo proprio sui giallorossi. Ultimo Davide Ballardini, quattro pappine rifilate ai discepoli dell’hombre vertical Luis Enrique, eppure capace di dire, non crediamo pro domo sua, “la Roma è una grande squadra, destinata a fare grandi cose in Italia e in Europa”, forse ancora stupito dalle nove palle gol che i giallorossi avevano costruito nel secondo tempo. Parole simili, le hanno dette in molti, dall’ex ct Arrigo Sacchi all’attuale ct Cesare Prandelli, affascinato pure lui dal “calcio nuovo, con idee, che sta proponendo la Roma”.

Si dirà: sì, va bene, ma i numeri della stagione dicono nove sconfitte, sette in campionato, addio all’Europa League, addio alla coppa Italia, terzo posto in campionato che, oggi, è più un esercizio d’ottimismo che una concreta possibilità. Tutto vero e capiamo i malumori della tifoseria, tioseria, peraltro, che non più tardi di qualche mese fa, all’Olimpico, espose uno striscione, mai schiavi del risultato, che sembrava il semaforo verde alla pazienza. (…)

Che questo fosse un anno di transizione, non lo aveva capito solo chi non voleva capire. C’è una questione tempo da rispettare, c’è un’eredità devastante da gestire e ridimensionare, c’è un’identità da trasmettere e far metabolizzare. Nell’ultimo mercato estivo a Trigoria sono arrivati undici giocatori, ora si aggiungerà Marquinho, in pratica il cinquanta per cento di una squadra. Hanno trovato un tecnico nuovo, proprietari e dirigenti nuovi, lo zoccolo duro del vecchio gruppo, una filosofia di gioco in assoluta controtendenza. Pensare di poter risolvere tutto in un anno, anzi in pochi mesi, lo poteva fare soltanto chi fosse stato prevenuto. C’è bisogno di tempo e, anche, di almeno tre-quattro nuovi titolari, in grado di aumentare qualità e personalità della squadra per dare continuità alla Roma vista in campo per un’ora a Bologna. E se l’obiettivo è quello, come si fa a non assecondare e accompagnare la sfida, le idee, il percorso, il gioco, l’identità? Per noi vale la pena correre il rischio.
Corriere dello Sport – Piero Torri

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