Corriere della Sera – Possesso palla, entusiasmo e fiducia in Luis Enrique. Una squadra stile Barcellona

Tutti al mare, tutti al mare, a mostrar le chiappe chiare!”. Francesco Totti, in versione Gabriella Ferri, sapeva cosa stava cantando mentre usciva dal “Dall’Ara” di Bologna. La vittoria contro i rossoblù — unita al pareggio contro la Juve e la vittoria a Napoli — ha fatto meritare un premio ai giallorossi. Luis Enrique, particolarmente soddisfatto della qualità del gioco, ha dato due giorni di vacanza in più alla squadra. Dovevano ripresentarsi il 30 dicembre, hanno avuto il via libera fino alla mattina del 2 gennaio 2012.

Alla Roma — società, staff tecnico, giocatori — sanno bene che la strada da percorrere è ancora tanta. La classifica dice ancora sesto posto, la distanza dall’ultima poltrona utile per la zona Champions è ancora di 8 punti, battere il Bologna non è come aver messo k.o. il Real Madrid. Però tre fatti incontestabili fanno pensare a un risveglio giallorosso: 1) il legame tra allenatore e squadra, che non è mai mancato fuori dal campo, ora è visibile anche e soprattutto nel gioco proposto; 2) una serie di scelte di Luis Enrique e del d.s. Sabatini (Osvaldo, Lamela, Pjanic) stanno dimostrandosi azzeccate e si sono fuse con il cuore romano e romanista (Totti e De Rossi); 3) la “piazza”, che tanto può influenzare il rendimento della squadra, ha ritrovato l’entusiasmo dei primi tempi per il “progetto” della nuova società.
I dati della gara contro il Bologna (gentilmente forniti dall’Ufficio stampa della Roma e da Panini Digital Project) possono essere descritti come “barcellonisti”. Possesso palla: 67%; supremazia territoriale 69%; passaggi riusciti 74%; giocate utili 70%; tiri verso la porta avversaria 16; occasioni da gol 9. Tutto questo in trasferta e in vantaggio per 2-0, perciò contro un avversario che doveva recuperare. De Rossi regista arretrato e Totti regista avanzato sono stati il cuore della manovra: 103 palloni giocati il primo, 98 il secondo. E pensare che qualcuno a Roma, in malafede, aveva parlato di un Luis Enriqueitalianizzato”. La verità è che l’allenatore asturiano, attraverso il lavoro quotidiano, è riuscito a convincere la squadra della bontà del suo progetto. I giocatori ci hanno messo la qualità e qualche consiglio importante. Già contro il Napoli c’erano stati numeri importanti, come i 17 tiri verso la porta avversaria.

Ma le statistiche, gli schemi e i moduli non sono tutto nel calcio. Tra Luis Enrique e il gruppo — tranne rare eccezioni — si è formato un “circolo virtuoso” che fa ben sperare, soprattutto per il futuro. In occasione della gara di Napoli (mercoledì alle 20.45), l’asturiano ha provato un esperimento: non ha portato la squadra in ritiro il giorno prima e l’ha fatta partire la mattina stessa. I giocatori hanno guadagnato una notte in famiglia, il rendimento non è calato. Anzi, è arrivata la prima vittoria contro un avversario “pesante”. I giocatori hanno gradito.
Last but not least la capacità di unire il coraggio sui giovani (Lamela e Viviani del ’92, Pjanic e Bojan del ’90) e il recupero di “vecchi” come Taddei e Simplicio che sembravano da rottamare. “Non guardo la carta d’identità” disse Luis Enrique in ritiro, a Riscone di Brunico. Era la verità.

Corriere della Sera – Luca Valdiserri

 

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