Gazzetta dello Sport – Chi è Luis? Primi quattro mesi, marziano o eroe?

Primo bilancio sul fenomeno Luis Enrique. Innanzitutto, che allenatore è? Dopo quattro mesi non si è ancora capito, e forse non lo hanno compreso fino in fondo nemmeno i suoi calciatori chissà se lo ha capito lui…: è davvero un grande tecnico, come crede di essere e come gli ha predetto Franco Baldini, salvo poi aggiungere “e speriamo che riesca a dimostrarlo a Roma“? La sua idea di calcio è applicabile in Italia oppure è troppo rivoluzionaria? E i suoi metodi sono efficaci o hanno ragione i calciatori a chiamarlo “Zichichi” sempre con tutto il rispetto per l’uomo di scienza? Lui, interpellato sull’argomento, ha respinto al mittente accuse di estraneità. “Non sono un marziano arrivato da un altro pianeta, voglio solo proporre un calcio proposito….

Sergente È il come che desta qualche perplessità. Come lo hanno preso i calciatori? Per uno scienziato pazzo? Un filosofo un po’ naif? Un guru new age? Pubblicamente, tutti a elogiarne idee “Finalmente ci divertiamo” e carattere «Una persona chiara, diretta, trasparente», poi gratti un po’ ed esce fuori il darsi di gomito quando parla e lo splendido, geniale “Zichichi”. Su un aspetto di Luis Enrique i calciatori hanno detto sempre la verità: l’intensità dei suoi allenamenti. “Mai lavorato tanto nella mia carriera“, pure Totti lo ha ammesso. L’asturiano ne fa un vanto, anzi recitare il ruolo del sergente di Full Metal Jacket gli piace proprio. “Io sono esigente, molto esigente — lo ha riconosciuto tante volte e sempre gli è spuntato un ghigno —. Ai miei giocatori chiedo tantissimo, il calcio lo intendo così“. Qualcuno si è arreso, qualcun altro si è spaccato, ma il grosso del gruppo finora gli è andato dietro.
Fiducia Luis Enrique ha goduto di enorme popolarità, è bene ricordarlo. Tra i tifosi, tra i suoi giocatori. Ricordate i bagni di folla a Brunico? Non certo per il curriculum, ancora troppo scarno, ma per il fatto di averlo presentato come l’uomo nuovo, il simbolo del progetto, il braccio armato della rivoluzione americana. Ha carisma, non c’è dubbio. Con le parole ci sa fare. Ma con la tattica? Se lo giudichiamo per i risultati, è sotto la sufficienza: eliminato dall’Europa League, senza infamia e senza lode in campionato. La Roma ha un punto in meno dello scorso anno, Luis Enrique ha fatto nè più nè meno quanto ha fatto a Catania Montella, al quale è stato preferito solo “per dare un segnale di discontinuità Baldini dixit“.
A tempo Se parliamo di gioco, e quello a lui interessa, finora se ne è visto poco e a sprazzi. Tanto possesso palla, mille passaggi, un volume di gioco impressionante, presenza costante nella metà campo avversaria, ma pochi tiri in porta. Eppure non gli mancano gli interpreti, i campioni e campioncini capaci della giocata, ma a volte sembra che li abbia anestetizzati. E vogliamo parlare dei buchi difensivi, motivo di sofferenza per i tifosi e di scontro con i giocatori rivolgersi ad Heinze e Burdisso? Che Luis Enrique abbia bisogno di tempo, ce lo hanno ripetuto in tutte le salse. “Pazienza”, il vocabolo più usato dagli interpreti della nuova Roma. Giusto, soprattutto se il progetto, come pare, ha un respiro ampio. Ma dopo quattro mesi di allenamenti e partite, forse, un’invenzione ci stava bene. Sennò, che scienziato è?
Gazzetta dello Sport – Alessandro Catapano

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