Corriere dello Sport – L’importanza di ritrovare subito un’anima

Tutto quanto di peggio poteva abbattersi tra il mercoledì sera di campionato e oggi sul capo di Luis Enrique si è abbattuto con agghiacciante puntualità.Qualcosa che ha a che fare con le streghe, tra la legge di Murphy (“Se qualcosa può andar male lo farà”) e la provocazione a oltranza della cattiva sorte, che non è bendata e ci vede benissimo. Andiamo a ritroso. La sconfitta di Genova aveva già di suo qualcosa di dolorosamente incomprensibile oltre che insopportabile. Una per tutte, quella palla a tempo scaduto che spiove dall’alto, sbatte su uno stinco ben poco santo e passa per chissà quale pertugio, schivando la monumentale sagoma di Stekelenburg (grandissimo portiere finito in una versione malvagia di scherzi a parte). (…)
Pazienza. Andiamo oltre. Con il Milan si replica, tre sere dopo. Sconfitta meno assurda nello svolgimento e nella logica, ma quasi di più nelle circostanze. Tre gol dicasi tre in fotocopia, tre stacchi di testa leggiadri, da accademia del calcio, in quella che dovrebbe essere una trincea irrespirabile di gomiti, fianchi, spigoli e mani. Aggiungiamo, di area in area e di sfiga in sfiga, le palle che da un metro sbattono su Abbiati, le rotture muscolari di Borini e Juan, per non dire di Vucinic che segna a Milano e Menez a Parigi. Diventa un fattore contro per Enrique anche il trionfo ennesimo della Primavera di De Rossi, una manna per l’inevitabile plotone non ancora d’esecuzione ma quasi, smanioso di fare confronti.
Ma il genio del male dimostra tutta la sua imperversante e raffinata grandezza il giorno dopo, scaricando sulla sagoma già impallinata di Enrique i seguenti fattacci in ordine sparso: il Genoa della beffa che si fa asfaltare da una resistibile Fiorentina e il Catania di Vincenzo Montella che stravince, allargando l’esuberante schiera di scettici, nostalgici e dei “ve l’avevo detto io”.(…)
La storia di Enrique alla Roma ha toccato il suo punto più problematico. Riprende a soffiare il ventaccio greve degli italianisti, avanzano i detrattori, fioccano dubbi, derisioni e insinuazioni. Ci si mette anche Fiorello con la sua imitazione. E filtrano, immancabili, voci di primi malumori dalla pancia dello spogliatoio. Capire quando è il momento di accettare un aiuto è segno di forza, non di debolezza. Luis Enrique, hombre vertical, ha bisogno ora di ancorarsi. Intanto a una formazione, che sia la sua formazione, il suo gruppo scelto, al di là della stucchevole ideologia militante del “mi alleno (bene) dunque sono”. Deve ancorarsi soprattutto all’illuminata scaltrezza di papà Baldini e zio Sabatini, giustamente schierati a testuggine nella difesa dell’incantevole ragazzo delle Asturie ma anche per nulla reticenti nel far sapere che “adesso servono i risultati”. (…)
Nessun alibi, stavolta. Si chiamano Meggiorini e Morimoto. La sfortuna non esiste e, se esiste, serve solo a scatenare la rabbia di chi la sfortuna non se la merita per la forza del proprio talento. La Roma “bambina” è una felice immagine poetica, solo che qui il tributo non è a Lewis Carroll ma al dio del calcio e allora urge un’altrettanto lirica Roma guerriera. Uomini come Totti, quando tornerà, De Rossi, Stekelenburg, Pizarro, Gago, Pianjc, lo stesso Lamela, bel tipino da tango e da corrida, non possono tollerare che la loro storia, la storia di questa Roma nascente, sia svilita da concetti come la sfortuna. Chiamatela come volete, anima, personalità, orgoglio, io lo chiamo sangue nelle vene. Più prosaicamente? Possesso di palle. (…)
Corriere dello Sport – Giancarlo Dotto

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