«Trabajo y sudor» era il manifesto Ha funzionato a metà, poi il tracollo

Era cominciata con l’entusiasmo della gente a Riscone di Brunico,Lucho immerso tra i tifosi a giocare a biliardino e la rivoluzione culturale come manifesto. Trabajo y sudor, erano le parole d’ordine. È finita all’opposto, tra l’indifferenza dei tifosi, spossati da una stagione fallimentare. In mezzo c’è tutta la vita giallorossa di Luis Enrique: idee, onestà, etica e speranza. Ma anche tanti errori, presunzione e l’integralismo dell’hombre vertical.
Alti e bassi A Barcellona dicevano che era strano, raro como un perro verde strano come un cane verde. Eppure l’inizio era stato buono, nonostante l’eliminazione dall’Europa League con lo Slovan e il cambio Totti-Okaka con cui Luis aveva già diviso la gente: fenomeno o bluff? Il dubbio è andato avanti tutto l’anno, più del tiqui-toque. Al tracollo di Firenze 3-0, con la prima contestazione a tecnico e DiBenedetto ha fatto da contraltare il filotto di vittorie a cavallo di Natale. È stato il momento di massimo splendore di Zichichi, come lo chiamavano i giocatori. Poi, però, sono arrivati i tracolli: Cagliari, Atalanta con il caso De Rossi, Juve doppio k.o., Siena, il derby 2 volte, Lecce e Fiorentina. E sono iniziati i silenzi nelle conferenze, dove Luis si è sempre espresso in italiano. Voleva integrarsi, voleva restare, anche rischiando in prima persona.
Ambiente Nel flop di Luis Enrique, l’ambiente non gli ha dato una mano. Il suo, però. Ivan De la Peña lo ha mollato quasi subito, dopo averlo portato a vivere a casa-Lazio Olgiata; Marcos Lopez — il tattico — dopo 4 mesi. Con Luis è rimasto Toñin Llorente, il mental coach espulso 3 volte. Il risultato sono state le contestazioni all’Olimpico e le difficoltà della famiglia. Luis ha resistito, apprezzato da giocatori e società. Gettando la spugna solo alla fine.
Gazzetta dello Sport – A.Pugliese 

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