Il Romanista – Andate a lavorare

Ma quale rivoluzione culturale, qui bisogna ricominciare a imparare a battere una rimessa laterale, e staremmo ancora a caro amico. Perché come si tirano fuori le palle o come si onora una maglia non può essere oggetto di una lezione: è un dovere. E la maglia della Roma è un onore. Massimo. No. Non ci siamo e così non ci saremo. Non c’è progetto che tenga, non ci sono piani quinquennali da sfoderare, qui o non si è professionisti o non lo si vuole essere. Ovvio che Luis Enrique ha le sue responsabilità (soprattutto quando nel postpartita dice l’indicibile, cioè che «dopo il primo gol non c’era più niente da fare»), ma parlare di dimissioni non ha nessun senso (anche perché il fenomeno Stramaccioni purtroppo è occupato), oltre a essere un alibi per i giocatori stessi. Perché ieri guardando i giocatori della Roma (i giocatori della Roma?!?!?!?!?!) è venuta nostalgia della grinta di Vucinic e degli attributi di Menez.

A confronto dei fantasmini in bianco di Via del Mare, loro, gli ex slavati emaciati con le mani sui fianchi, sembrano epici ritratti da Sturm und Drang. Siamo stati presi a pallonate dalla squadra del barbiere di De Rossi (tale Oddo, uno dei quattrocentododici capitani della Lazio negli ultimi dodici anni) e non abbiamo fatto niente. La cosa più romanista della giornata è stato un fallo di Aquilani su Behrami a Milano. Non abbiamo fatto niente prima, non abbiamo fatto niente durante (i due gol alla fine da questo punto di vista risultano persino odiosi) quando avremmo potuto e dovuto fare tutto. Abbiamo preso quattro gol dal Lecce che non era riuscito a segnare al Novara e al Cesena, che aveva vinto solo due partite in casa, che avevamo asfaltato all’Olimpico all’andata in una delle poche prove convincenti di questo campionato. Abbiamo preso quattro gol dal Lecce ed è la cosa meno grave, perché a un certo punto Serse Cosmi ha detto ai suoi di risparmiarci sennò finiva come all’Old Trafford, il 10 aprile del 2007. Ieri era il 7 di aprile, stiamo lì. E’ un’altra giornata da incorniciare. Sì, perché nessuno alla Roma deve rimuovere quello che è successo ieri (a proposito, un fallo laterale si batte con i piedi uniti dietro alla linea e la palla non si appoggia o non si fa scivolare, ma si deve lanciare, con tutte e due le mani, sennò è controfallo): Lecce-Roma va fatta vedere ai bambini delle Scuole Calcio per insegnare loro esattamente quello che non devono fare quando vanno in campo.

Perché il calcio è impegno, passione, divertimento, sacrificio, lotta, rispetto degli avversari, di te stesso e della tua maglia. Forse per questo ieri Luis Enrique è rimasto seduto in panchina e non ha fatto cambi, per ripassare (a se stesso e soprattutto ai suoi giocatori) una lezione che è un dovere: cosa significa giocare per la Roma. Oggi, in questa Pasqua, sarebbe stato il compleanno di Agostino Di Bartolomei che ai ragazzini della sua Scuola Calcio insegnava cos’erano l’impegno, il divertimento, il sacrificio, il rispetto, tutto quello che lui metteva sempre in campo. Ecco. Scusali Capitano, non sanno quello che non fanno: onorare la maglietta della Roma.

Il Romanista – T. Cagnucci 

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