Le 3 spine della Roma. Spalletti, il bilancio e i rinnovi dei capitani

La Gazzetta dello Sport (M.Cecchini) – Raccontano che Edvard Munch, dopo aver dipinto i suoi quadri, fosse solito appenderli agli alberi per esporli alle intemperie, «perché i colori devono maturare e hanno bisogno di sole, sporco e pioggia». Aveva ragione, visto che alla fine ne sono venuti fuori dei capolavori. L’impressione è che la Roma – esposta al vento costante della realtà – ne sia uscita scolorita. La fiducia, in fondo, è fatta della stessa materia dei sogni: deperibile. Per questo le 6 stagioni di proprietà Usa (che vede i conti di nuovo in sensibile rosso) e il rosario di allenatori e dirigenti apicali arrivati e partiti senza mettere niente finora in bacheca, hanno immalinconito una piazza giallorossa ferita dall’ennesimo derby di Coppa Italia scivolato verso la Lazio. Così anche Spalletti, che aveva giurato sulla squadra («la più forte che ho mai allenato») adesso ha perso anche lui quell’appeal di invincibilità che i suoi straordinari risultati in giallorosso – pur contestualizzati in una Serie A modesta – gli avevano meritatamente cucito addosso.

L’EREDITÀ – Da martedì, alla luce delle sue stesse parole relative all’equazione permanenza-vittorie, l’allenatore toscano sembra più lontano. Intendiamoci, Pallotta vorrebbe ancora tenerlo, ma le sue ruvidità caratteriali nei momenti difficili hanno un po’ ridimensionato la sua figura agli occhi dei vertici, anche se nel lavoro sul campo è fra i più bravi che ci siano in circolazione. Prova ne sia che il suo nome è accostato alla Juve (se Allegri andrà via), all’Inter (se non arrivasse Conte) e nell’ultimo periodo anche al Tottenham (se Pochettino prenderà altre strade), anche se non si possono escludere altre due ipotesi: una rimonta scudetto che lo confermerebbe a furor di popolo e un periodo sabbatico che lo rendesse pronto a subentrare in una big. Ma, carattere a parte, anche gli errori di gestione commessi sul campo hanno sorpreso. Le partite contro Porto, Juventus, Sampdoria, Lione e Lazio, sono state costellate da scelte che non hanno pagato. Solo per restare al derby, in tanti hanno notato come Nainggolan – dopo aver giocato tre partite intere con la nazionale e contro l’Empoli – nella stracittadina era sulle ginocchia, e forse se fosse stato risparmiato nel non titanico match contro i ragazzi di Martusciello sarebbe stato meglio. Ma se la Roma, che pure in Italia ha una rosa invidiata, è la squadra che impiega meno giocatori e fa meno cambi, è evidente che il rischio usura ci sia.

BLITZ A LONDRA – In ogni caso, l’argomento allenatore era sul tavolo anche nell’incontro tra il d.g. Baldissoni e Franco Baldini, avvenuto ieri a Londra. In modo diretto e indiretto sono stati già sondati Gasperini, Emery, Mancini e Montella, anche se il sogno sarebbe arrivare a Sarri. Inutile dire che nessuno convince fino in fondo, ma la perfezione non è di questa terra, specie quando bisogna innanzitutto far quadrare il bilancio. Per questo a Londra c’è stato anche un summit con Kaytleen Colligan, direttore dello «sviluppo del business». Meglio così, perché occorrono nuove entrare. Non è un caso che nei giorni scorsi l’ex d.s. Sabatini aveva malinconicamente detto: «Siamo senza sponsor da 5 anni, magari quei 40 milioni che avrebbero potuto entrare, non avrebbero reso oggi così drammatica la semestrale (meno 53,4 milioni, ndr)».

I DUE CAPITANI – Così occorrerà vendere uno o due pezzi importanti, e i più corteggiati sono Manolas, Rüdiger, Nainggolan e Strootman. Ma la congiuntura storica racconta anche altro. Totti – i cui pochi minuti concessigli al derby hanno fatto discutere – e De Rossi, i due capitani, sono entrambi in scadenza, e non è detto che l’ennesima rivoluzione Usa li consideri ancora parte integrante del progetto calcistico, anche se il secondo ha offerte in Italia e all’estero. «È un tema che prima o poi dovrò affrontare, però ora non ci penso», ha detto a l’azzurro a «Undici». E poi ha aggiunto: «Anche se ha un carattere difficile, la Roma dovrebbe fare di tutto tenere Spalletti. Lui, insieme a Conte e Luis Enrique è fra i primi 10 allenatori al mondo». E allora la domanda dei tifosi è d’obbligo: che cosa serve per vincere a Roma?

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