L’ammissione di Florenzi: «Sì, ora siamo spaventati»

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La Gazzetta dello Sport (A.Elefante) – La paura stavolta si è insinuata nei pensieri azzurri più lentamente: indecifrabile come chi la alimenta, intermittente come ciò che accade. Il 13 novembre scorso, negli spogliatoi dello stadio di Bruxelles, appena finita l’amichevole con il Belgio, per la nostra Nazionale fu come un cazzotto nello stomaco, improvviso: echi del terrore come più vicini, anche geograficamente, e quella notte Parigi che bruciava e i suoi morti erano sembrati lì, a un passo. Ieri mattina a Coverciano la notizia degli ennesimi attentati è arrivata da più lontano e si è propagata con tempi diversi: il primo gruppo di giocatori era previsto in campo già alle 9,30, solo il secondo ha avuto notizie più precise prima di allenarsi, quando all’ora della colazione Internet e gli smartphone hanno iniziato a fare il loro lavoro.

I PENSIERI DI OKAKA – Il tempo del confronto, dei «ma a giugno che ne sarà di noi?», degli sguardi senza risposte, delle telefonate con le famiglie o gli amici, è arrivato dopo: negli spogliatoi e poi all’ora di pranzo. E quel sottile rimescolamento che prende allo stomaco al pensiero di possibili angosce future si è palesato negli occhi del gruppo: lo hanno visto Damiano Tommasi e i vertici dell’Aic quando hanno incontrato gli azzurri e il primo argomento del faccia a faccia è diventato inevitabile, anche se non era all’ordine del giorno; l’abbiamo visto nelle braccia allargate di Stefano Okaka, uno che a Bruxelles gioca e dunque vive, e ieri sapeva che stavolta tornarci dopo queste due partite sarà ancora più difficile che in passato. «È sempre più un casino…»: a certe domande non ci sono chissà quali risposte e la frase dell’uomo gol dell’Anderlecht è rimasta lì sospesa, come il tono con cui l’ha pronunciata. Forse alla fine era più sconsolato che preoccupato.

RADJA, COME STAI?Rassegnati alla paura. Ecco, quelli della Nazionale la vivono così, e dirsi che lo show dell’Europeo non può fermarsi è un dovere non per questo meno faticoso. «Guardiamo in faccia la realtà: non sarà facile». Alessandro Florenzi ieri l’ha ammesso per tutti pesando bene le parole davanti a un microfono, in coda a ragionamenti responsabili, soprattutto pratici: non c’è rabbia che possa combattere l’impotenza. «Purtroppo possiamo solo guardare avanti e non farci prendere troppo dalla paura. Certo che siamo scossi: lo è Radja Nainggolan – l’ho sentito da poco al telefono per capire come stava – ma lo siamo anche noi, per forza. Certo che fra noi ne parliamo: proviamo a farlo nel modo giusto, senza metterci troppe apprensioni a vicenda».

GIOIA, MA COME? – Forse è l’unica cosa che possono fare davvero ma non sarà facile, appunto: potrebbero essere giorni e giorni consecutivi di stress da sicurezza, da aggiungere a quello da competizione. «Ovvio, sarebbe più facile non doversi sentir dire tutti i giorni “c’è la possibilità di un attacco”, ma dobbiamo sforzarci di pensare che saremo in Francia con un obiettivo e un dovere ben precisi: rappresentare il nostro Paese in una competizione che deve portare gioia, e non apprensione, a chi ci verrà a vedere». Sempre che ci sia qualcuno che potrà andare a vedere, visto l’incubo porte chiuse che continuerà ad affacciarsi, ma qui si entrerebbe in confini ancora più scivolosi, e in certi casi la rassegnazione è anche questione di ruoli: «Noi dobbiamo fare il nostro mestiere, non decidere queste cose: nel caso ci penseranno persone più importanti di noi». Anche se poi giocheranno loro, e non sarà giocare a calcio.

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