La Lupa feroce. Ma questo Toro pare un agnello

TuttoSport (M.Bonetto) – L’assenza strutturale della società cairota si riverbera in questo Toro che fa fatica persino a entrare in campo, in un gioco di specchi colpevole ma non deformante. E che prega perché l’arbitro fischi in fretta la fine, così da evitare almeno la cinquina. Ma non le accuse. Certo, la Roma di questi tempi è un florilegio di sorrisi e di meccanismi lubrificati e lucidati. Funziona tutto o quasi, dalle parti di Spalletti: Florenzi a parte. I giallorossi arrivano da Villarreal trasportati dalle onde dell’entusiasmo, del gioco, della fertilità offensiva e delle motivazioni. Si divertono, e divertono. Piallano muri, e continuano la corsa dietro la Juve, tenendo a bada Sarri. Ma in questo caso la Roma non ha neanche dovuto riempire di sudore le canottiere, e graffiarsi la fronte per buttare giù l’ostacolo. Il Toro si è scansato, per dirla con un Buffon ormai proverbiale. Dieci minuti, e Dzeko agguanta Higuain sul podio della classifica cannonieri, a quota 19. Altri 7 minuti, e sulla coda dei granata piove Salah, a manciate: secondo missile, e 2 a 0. Fine. La partita nasce e termina lì. Tutto il resto è abbastanza desolante, per il Toro: a parte Lukic e altri squilli sporadici, qua e là per il prato. Mentre i giallorossi, in surplace, si allenano, controllano, rifiatano, segnano ancora con Paredes nella ripresa. Incassano nel finale l’unghiata di Maxi Lopez, al 1° gol in campionato (non la buttava dentro da aprile contro l’Atalanta), ma poi si tolgono pure il gusto, davanti all’ennesima spingardata: stavolta di Nainggolan, al tramonto del match. Con tanto di passerella per Totti, e applausometro per Dzeko. E’ un 4 a 1 che incide le distanze tra la cima e il fondovalle: della cifra tecnica, degli stimoli, della personalità.

MONDI CAPOVOLTI – La Roma è man mano divenuta una supersquadra, dopo che all’andata, giusto con i granata, toccava il punto più basso, ma per risalire. Questo Toro, invece, a gioco lungo si è progressivamente crepato, e perso. Non contano solo gli infortuni, per quanto oggettivi, e pesanti: stavolta non c’era Valdifiori e De Silvestri si è pure dovuto inventare marcatore centrale. Ma se nelle ultime 11 partite il Toro ha vinto solo contro Genoa e Pescara, prima di Natale e una settimana fa, è anche perché l’involuzione è stata progressiva: nel gioco, nell’evaporazione della personalità e dell’unità di squadra. Dell’intensità. Della ferocia agonistica. Del piacere di giocare e della capacità di disegnare nuovi limiti, ma spostati più in là. Un calo, come un gelato che man mano si scioglie. A poco a poco, ma si scioglie. Citiamo qua e là: Baselli non morde, Ljajic corricchia o si lamenta, Iago non si danna, Belotti finisce abbandonato là davanti, Iturbe non si cura della fase difensiva (e difatti viene sgridato da Moretti). E a questo giro pure Hart è apparso un po’ svagato. Sono tutti segnali negativi o comunque preoccupanti, al di là della forza superiore della Roma, sotto ogni aspetto. Una Roma sempre vincente in casa, in questo campionato (12 su 12). E al di là anche dei 210 gol segnati dai giallorossi in serie A al Toro, la squadra più perforata dai romanisti in campionato: il destino magari non aiuta, ma queste sono statistiche, non contenuti. Basti dire che i granata han cominciato a giocare solo quando la Roma, reduce dalle fatiche di Coppa, ha preso ad allenarsi, dopo 2 gol e un palo (ancora di Salah).

LA MELA DEL PECCATO – Tutto ha un’origine, e l’origine non è solo in campo, o nel cuore della panchina, là dove opera Mihajlovic. L’origine è l’assenza della società: nella cura quotidiana del lavoro; nell’aiutare l’allenatore a gestire lo spogliatoio; nel garantire al tecnico, prima in estate e poi a gennaio, gli innesti non solo utili, ma addirittura indispensabili, tra difesa e centrocampo; nel saper motivare o infilzare chi molla, o chi non ci crede più, rispetto agli allori autunnali. Con la fuga dal mercato, a gennaio, Cairo e Petrachi han dimostrato di averne abbastanza: più comodo e più vantaggioso per il portafoglio, invece di spendere i soldi incassati, e di combattere al fianco di un tecnico, pur con tutti i suoi limiti. Anzi, proprio perché ha dei limiti. L’abulia di questo ultimo Toro, risorto solo quando davanti aveva il Pescara, è lo specchio veritiero di colpe e responsabilità superiori, societarie. Non pretendiamo di possedere la verità infusa. Ma noi la pensiamo così.

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