La Juve mostra i muscoli, Spalletti chiede aiuto a Dzeko

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La Repubblica (E.Gamba – M.Pinci) – La Roma non ha modi alternativi di vedere la partita di Torino: vincere o dire addio ai propositi di un campionato di vertice. A fine ottobre aveva 11 punti di vantaggio su Allegri, era prima in classifica e la Juve dodicesima, sembrava già tutto scritto. Oggi ne ha sette in meno e rischiano seriamente di diventare dieci, perché sono tre mesi che la Juventus non fa altro che vincere e per la precisione sono due che non fa altro che dominare. Ci può essere confronto, tra la fragile debolezza giallorossa e la possente sicumera juventina? Un girone fa pareva che il mondo si potesse capovolgere: all’Olimpico, la Roma vinse soffrendo solamente nell’ultimo quarto d’ora, segnò persino Dzeko (è stata l’unica rete su azione dell’intero campionato). Che tempi. Ma non è la Roma a essere cambiata, bensì la Juve. A quell’epoca contro i bianconeri vinceva pure l’Udinese, o non perdeva il Frosinone: dunque a Torino hanno saputo evolversi mentre i giallorossi stagnavano, finendo per farsi irretire da una crisi fatta di pareggini, come un anno fa. E se Allegri dice di non fidarsi («La Roma ha valori tecnici altissimi, può ancora vincere lo scudetto») è solo perché nel calcio bisogna sfoderare un certo numero di frasi fatte: intimamente, deve avere altre convinzioni. Del resto, c’è una logica dei dati di fatto se in tre mesi la Juve ha accumulato diciotto punti più della Roma. «Ma non abbiamo fatto niente, ci serve un tot di vittorie». Ne arrivasse una anche oggi (sarebbe l’undicesima consecutiva), la Roma dovrebbe abbandonare anche le illusioni più pie.

Pure Spalletti, d’altronde, fatica a non parlare di ultima chiamata, anche se si lascia prendere dalla tentazione di vedere il bicchiere mezzo pieno (ma pur sempre mezzo): «È l’occasione giusta per rientrare in corsa», dice, «ma dobbiamo credere di poter vincere. Se pensiamo di non farcela, è sicuro che non ce la faremo ». È curioso che l’allenatore debba chiedere alla sua Roma 2.0 di regalargli i primi sorrisi proprio contro l’avversaria peggiore: in vent’anni di carriera in A, Spalletti la Juve non l’ha battuta mai (l’unico successo risale a dieci anni fa, però in Coppa Italia), e anzi l’ultima volta che l’affrontò, era il 2009, finì per perdere partita e panchina. Più del tabù a preoccuparlo sono gli “scialacquoni” della squadra nell’esordio con il piccolo Verona. Anche per questo in settimana ha lavorato a una Roma diversa. Mancano i terzini? Si passa ai tre difensori, con De Rossi al centro della linea arretrata e cinque centrocampisti alle spalle della coppia Salah-Dzeko. Dalla prossima dovrà trovare il modo di infilarci almeno El Shaarawy, non il Gervinho “turbato” di queste ore (ieri Sabatini ha ricevuto una delegazione del Jiangsu). Intanto il nuovo assetto gli consentirà di mettersi a specchio della Juventus: un modo per provare a contenerla più agevolmente, forse. «Ma per specchiarsi», ricorda l’allenatore, «bisogna pure essere belli abbastanza».

La Juve, da parte sua, giocherà in formazione tipo, con l’unico dubbio tra Lichtsteiner e Cuadrado a destra. La rosa intera scoppia di salute, le riserve fanno un figurone anche se giocano una partita su quattro e insomma i bianconeri non hanno un problema al mondo. O la nuova Roma potrebbe diventare il primo?

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