La crisi. Dzeko e l’incubo del gol che non c’è

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Il Corriere Dello Sport (R.Maida) – L’incompiutezza è frustrazione, un senso di lontananza. C’è un’immagine che fotografa lo psicodramma della Roma: lo sguardo perso di Edin Dzeko, al terzo tentativo fallito, che si chiede perché, come sia possibile, cosa sia accaduto, con le mani sulla testa. Spalletti intanto salta e impreca contro il nemico invisibile: l’imperfezione. Incerta e sfortunata, meno pigra ma più autolesionista del solito, la Roma perde la prima partita di campionato nella notte in cui avrebbe potuto scavalcare la Juventus e riprendersi la testa della classifica. Episodi, certo. Quelli fanno la differenza, tracciano il solco. Palo interno scacciato fuori di Nainggolan, palo interno che finisce in rete dall’altra parte con un tiro a occhi chiusi di Badelj. Tutto in pochi secondi, un paio di giri di roulette. E poi le scelte arbitrali di Rizzoli, che non ha valutato da rigore un contatto sospetto nell’area della Fiorentina (sempre Dzeko protagonista) e alla fine ha convalidato il gol decisivo nonostante la finta a gambe aperte di Kalinic in fuorigioco.

INCUBI – Sconfitta immeritata, allora. Senz’altro. «Non è una partita a fare una stagione» chiariva Baldissoni ancora prima del fischio d’inizio. Quindi si va avanti con fiducia. Ma in generale, la Roma si butta via. Gli errori sotto porta, come quello di El Shaarawy nei minuti di recupero, sono lo sciagurato complemento di una squadra che barcolla dentro alle proprie fragilità. E stavolta il tiro dell’ultimo secondo di Totti, celebrato anche da molti fiorentini di tribuna mentre si scaldava, non ha cambiato la storia di una partita segnata. Per tutti e per Dzeko, soprattutto. Sempre bravo, sempre il migliore a infilarsi nello spazio giusto, a procurarsi il pallone da spingere in porta, ma troppo spesso tenero nel momento topico.

PERCENTUALI – Fosse un giocatore di basket, magari una guardia visti i 193 centimetri di altezza, sarebbe bocciato da qualunque coach: in campionato ha già tirato venti volte verso la porta (5 solo a Firenze) e segnato solo due gol. La media realizzativa è dunque del 10 per cento. Ma Dzeko gioca a calcio e, finalmente schierato per novanta minuti, nel dopo-partita ha incassato più elogi che critiche da Spalletti, in passato non sempre generoso nei suoi confronti. Quando l’allenatore sostiene che «Edin a volte abbassa l’ambizione della sua qualità» esprime un concetto crudo e incontestabile. Dzeko è l’antitesi vivente di Strootman: tanto concreto e il secondo quanto etereo il primo. Qualcuno, nel mondo dei social, ha azzardato una nuova definizione: è il falso nove. Non in senso tattico, però. In senso tecnico. Più che un centravanti che sposta l’equilibrio, a volte sembra un magnifico giocatore incompleto: segna qualche gol, crea qualche assist, arraffa qualche rigore. E però non è mai in testa a nessuna classifica.

RINGRAZIAMENTI – Tre volte ha fatto tremare la Curva Fiesole, che era preparata al peggio. Tre volte però si è intimidito sul più bello. Prima di testa, dopo aver bruciato sul tempo Gonzalo Rodriguez: era solo davanti a Tatarusanu, ha appoggiato sul fondo. Poi di destro, al volo: in quella circostanza ha poche colpe. Ma l’occasione più bella è la terza, quella di sinistro, dopo un perfetto movimento a liberarsi. Ci sarebbe anche il rigore che la Roma ha chiesto, per il contatto con Tomovic, in un primo tempo da protagonista assoluto della scena. Dzeko era stato difeso da Spalletti la settimana scorsa, visto il rigorino che aveva innescato le proteste di Ferrero. «Non provate a dire che è un cascatore, Edin spesso passa per pollo perché non si butta mai in area, è un calciatore correttissimo». Temeva, Spalletti, che gli arbitri gli avrebbero creduto di meno di lì in poi. E’ sicuramente una coincidenza ma ieri il rigore, più evidente di quelli dati contro Udinese e Sampdoria sempre a Dzeko, non è stato assegnato.

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