La catena di errori che ha portato l’Italia vicina al fallimento

La Repubblica (F.Intorcia) – Adesso che l’abisso è a un passo, e serve un miracolo a Milano per non entrare nella storia dalla parte sbagliata, bisogna chiedersi come sia potuto succedere tutto questo: l’Italia quattro volte campione del mondo cammina sull’orlo del burrone. Eppure, prima di affrontare la Svezia a Stoccolma, Gian Piero Ventura aveva serenamente illustrato di sentirsi al posto giusto nel momento giusto: perché, in fondo, che la Nazionale fosse condannata agli spareggi si sapeva prima del suo arrivo, dal momento del sorteggio che l’ha abbinata alla Spagna. E l’illusione di potersela giocare davvero per il primo posto è durata poco: alla vigilia della partita di Madrid, dove una vittoria avrebbe regalato l’accesso diretto in Russia, negli occhi e nelle parole degli azzurri la preoccupazione principale era di uscire a testa alta. Dopo, è precipitato tutto. Sono venuti al pettine i nodi di una squadra povera di qualità e di idee. Le frizioni tra ct e senatori, non più negabili. La confusione di uomini e schemi. Il nervosismo palese prima e dopo Italia-Macedonia, quando Buffon e gli altri leader si sono chiusi nello spogliatoio per confrontarsi senza lo staff tecnico.
Il destino dell’Italia di oggi si è consumato di fatto due anni fa, quando è finita in un girone di ferro per due ragioni. La prima è il ranking Fifa, dove è precipitata lontano dalle prime: a settembre era al 17° posto, peggior piazzamento della storia. La seconda è paradossale ed è legata ai diritti tv: al momento del sorteggio, c’erano ancora due gruppi da cinque squadre – poi completati con l’inserimento di Gibilterra e Kosovo – ma l’Italia, come la Spagna, per ragioni televisive doveva essere in un girone da sei, con dieci partite. L’abbinamento è stato quasi obbligato, con gli azzurri che hanno preso il posto della Bosnia.
La classifica mondiale è un meccanismo diabolico. Un fallimento si trascina dietro quelli successivi. L’Italia è rimasta imbattuta nelle qualificazioni per undici anni: com’è caduta in disgrazia? Bisogna tornare al secondo biennio di Prandelli, cominciato nel 2012 con l’apertura alla generazione nata negli anni 90. La programmazione sbagliata delle amichevoli, praticamente mai vinte, ha rovinato il cammino quasi immacolato nelle partite ufficiali verso il Mondiale. Il punto di non ritorno è stato un test aggiuntivo a maggio 2013 contro San Marino, determinante insieme al pareggio casalingo con l’Armenia per perdere lo status di testa di serie in Brasile. Il ranking si basa infatti su una media ponderata dei risultati, per evitare che le nazionali possano risalire in classifica organizzandosi a piacimento amichevoli troppo facili. Succede spesso il contrario: nessuna grande accetta di giocare con le piccole, per non rovinarsi la media. Al Mondiale, l’Italia è stata trattata nel modo peggiore, inserita in un gruppo con Inghilterra e Uruguay e cacciata al primo turno per la sconfitta con Costa Rica. Il disastro di quella spedizione, complice il ritiro a Mangaratiba aperto alle famiglie come un villaggio vacanze, ha innescato una enorme reazione a catena, le dimissioni del presidente federale Abete e del ct Prandelli, e la condanna a un nuovo quadriennio in salita.
E qui la politica ci ha messo del suo. Per cambiare, nell’agosto 2014 il calcio italiano sceglie un uomo al potere tra i dilettanti dal ’98, Carlo Tavecchio. Che stravince le elezioni compattando le leghe e, per superare l’imbarazzo delle frasi razziste per cui verrà anche punito da Uefa e Fifa, si rilancia scegliendo il meglio per la Nazionale: convince Antonio Conte, strappando alla Puma un rinnovo faraonico. Il ct è il valore aggiunto che porterà a un Europeo incoraggiante, mascherando i limiti tecnici di un gruppo consumato dall’età e di un campionato dove gioca il 53% di stranieri. Poi, sorpreso dall’addio di Conte, e incassato il no di Donadoni, Tavecchio cambia completamente prospettiva e ingaggia Ventura. Ha 69 anni, non è un rampante ma un vecchio saggio, non ha mai allenato una grande, è stato in tutto 7 volte all’estero. Anziché proseguire il lavoro di Conte come atteso, rivela la naturale e legittima ambizione di liberarsi del suo fantasma per dare un’impronta tutta sua alla Nazionale. Ventura non era la prima scelta, e comunque nei piani non doveva essere da solo. Marcello Lippi, per mesi operativo come direttore in pectore, aveva dovuto rinunciare all’incarico una volta emersa l’incompatibilità del ruolo con l’attività di procuratore del figlio Davide.
Paradossalmente Tavecchio, che fa eleggere Infantino alla Fifa e Ceferin all’Uefa, ottiene gli Europei Under 21 del 2019 e la sperimentazione della Var, pur essendo insieme presidente federale e commissario di Lega non riesce ad accontentare Ventura neppure sull’anticipo del campionato per essere più in palla con la Spagna. Però ne annuncia il rinnovo fino al 2020. La partita di Madrid, preparata male e giocata peggio, manda in frantumi il lavoro di un anno: «Da allora sono cambiate tutte le situazioni», dirà il ct. Il resto, la Svezia e il polpaccio di De Rossi, sembrano quasi una conseguenza.

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