Keita spacca Roma: «Troppi quei fischi»

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La Gazzetta dello Sport (D.Stoppini) – L’eroe dei due mondi non è l’eroe del terzo. Non lo era prima, figuriamoci adesso che ha puntato l’indice sui tifosi. Il terzo mondo, quello di chi la Roma la segue e la accompagna, forse avrebbe voluto ascoltare altre frasi da Seydou Keita, piuttosto che sentirsi dire «se i tifosi ti fischiano, diventa difficile fare bene». Ma il maliano non è uomo da zero a zero. Un anno e mezzo fa, appena messo piede a Roma, espresse chiaro un concetto: «Se la gente pensa che io sia qui per fare panchina, sbaglia. Ogni stagione si riparte da zero. Gioca chi sta meglio». Aveva ragione. Perché finché è stato bene ha giocato lui. Anzi: gioca pure ora che tanto bene non sta più, che la carta d’identità dice 36 e che l’allenatore protettore di tutti i francesi/francofoni, Rudi Garcia, è andato via.

CI METTO LA FACCIA – Keita resta un punto di riferimento dentro Trigoria, al di là del rendimento in campo. Le sue parole pesano. Queste ancora di più: «La Roma è un club magnifico — ha detto — ma quando le cose vanno male e mentre giochi sbagli un controllo i tifosi fischiano, tutto diventa difficile. Non conosco un giocatore che riesca a giocare bene quando i tifosi lo fischiano, mai visto. Eppure ho giocato con grandi campioni, è impossibile». Chiaro, lineare, senza possibilità di equivoco. Keita ci mette la faccia, esprimendo concetti cari a buona parte dello spogliatoio giallorosso, con giocatori allineati e coperti il giusto sull’argomento, la maggior parte dei quali in silenzio di fronte alla questione tifo. L’Olimpico vuoto è un fattore. Ma spesso ancora più negativi — questo ha voluto far capire Keita — sono stati i fischi quasi preventivi, al minuto cinque di una partita qualsiasi, magari decisiva per un passaggio del turno in una coppa. «La cosa più importante, quando le cose vanno male, è aiutare la squadra, aiutare il calciatore», ha aggiunto Keita. Uno sfogo per quello che è stato, o un appello per quello che ancora deve essere: comunque vengano lette, le parole hanno subito diviso i tifosi. E così sui social e via radio in molti si sono dissociati dal pensiero del centrocampista.

CI METTO IL PIEDE – Pensiero che è tornato a far comodo anche in campo, al contrario di chi immaginava che l’allontanamento di Garcia dalla Roma facesse scopa con l’accantonamento di Keita. Anche Spalletti si è affidato al maliano, concedendogli un ruolo di fiducia. Prova ne siano i continui confronti tra Keita e la panchina durante le partite. «Spalletti è un uomo con carattere, ma un allenatore dipende soprattutto da suoi calciatori — ha detto il centrocampista —. Un tecnico può comunicare le sue idee, può dirci cosa dobbiamo fare ma poi in campo andiamo noi. Basta vedere cosa ha fatto a Roma Luis Enrique e cosa fa ora al Barcellona: lì si capisce l’importanza dei giocatori. È ovvio che contino anche le idee. Ma la cosa più importante è che la squadra abbia fiducia nell’allenatore». E poi da cosa nasce cosa. Magari capita pure che un gruppo torni all’improvviso a credere in se stesso: «È tornata la fiducia tra di noi, ci sentiamo di nuovo una squadra forte — ha spiegato Keita —. Il Real Madrid? È fortissimo, ma nel calcio può accadere di tutto». Magari anche che all’Olimpico, domani contro la Sampdoria, si riaccenda un po’ di entusiasmo. Mancano più di tre mesi alla fine della stagione: abbastanza per non buttarsi via.

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