Montella: “La mia verità? E’ stata la Roma a non volermi”

L’ex allenatore della Roma, Vincenzo Montella, è stato ospite della redazione del Corriere dello Sport. Di seguito, riportiamo i passaggi più interessanti dell‘intervista realizzata dal quotidiano al tecnico campano:

Lei sta realizzando un piccolo miracolo a Firenze, dando un gioco che si impone in tutto il resto del campionato. Come ci è riuscito?
«Più o meno con celerità, ma questo dipende dall’organizzazione del club, dalle scelte di mercato, dall’indirizzo, dalla disponibilità dei giocatori, e poi il lavoro sul campo. Ho trovato la disponibilità dei nuovi e la voglia di rivalsa di chi è rimasto».

I giocatori dicono che ai suoi allenamenti si divertono. In cosa consiste il divertimento?
«Ogni allenamento è volto a quello che può succedere in campo, tutti gli aspetti fisici vengono toccati con il pallone».

Oggi come è cambiata la metodologia degli allenamenti?
«Intanto rispetto al passato si sa che cosa può succedere nella partita, conosciamo tutto degli avversari, ci sono molti più mezzi per conoscere il tipo di avversario, e allora puoi allenare il giocatore in modo specifico, e questo lo fai con il pallone. E a livello cognitivo è stato dimostrato che la mente ricorda tutto ciò che fa, se utilizziamo il pallone».

Un anno e mezzo fa allenava i Giovanissimi della Roma, ora è in un grande club. La Fiorentina è un punto di partenza o d’arrivo?
«Questa è una domanda ‘romana’… Ma sia detto senza offesa, è che si ritorna sempre alla Roma… Posso dire che sono tutte e due le cose, punto di partenza e d’arrivo, io sono ambizioso. Il mio obiettivo intanto è conservare il posto, perché ho imparato che nel calcio bisogna restare aggrappati a un posto di prim’ordine, perché la volontà con questa società è di creare qualcosa di importante. Lasciamo perdere la fantasia».

Lei ha giocato con Guardiola, nella Roma avete condiviso anche molte partite viste dalla panchina. Scambiaste qualche idea di calcio?
«Abbiamo parlato spesso, è uno dei pochi giocatori che è stato a casa mia, è una persona molto intelligente. Lui ha fatto scelte coraggiose, via Ronaldinho, via Eto’o, sicuramente la sua innovazione è aver convinto col suo carisma i campioni a giocare l’uno per l’altro. Non è facile, così come quando la squadra perde palla riesce a riconquistarla subito. Pep ha inculcato a tutti la transizione negativa, il recupero della palla nel minor tempo possibile».

Lei, al termine di Roma-Catania del campionato scorso, era idealmente e potenzialmente l’allenatore della Roma: perché non lo è diventato?
«Perché non c’è stata la possibilità. Ci sono stati contatti, a voi l’hanno detto prima, ma non sono diventato allenatore perché non c’erano le condizioni, non sono stato scelto. Sono state dette alcune cose, anche esagerate…».

Tipo che lei avesse chiesto giocatori adatti al suo progetto e non l’avrebbero accontentata?
«Vedo che sapete più cose di me».

Per entrare nella sua psicologia: se deve comunicare a un giocatore l’esclusione, lei si comporta più come Capello o Spalletti?
«E’ normale che devi capire con chi hai a che fare, se devi mettere Jovetic in panchina avrebbe bisogno che lo sapesse prima. Così come Totti. Se sai invece di andare in panchina sempre, è inutile dirlo. Io ai tecnici dicevo: ma come, vado in panchina e vieni pure a dirmelo?».

Tornando al suo tratto psicologico: riuscirebbe a escludere un campione e a spiegarlo alla piazza, col rischio di deprezzarlo o metterlo in difficoltà?
«Anche i campioni possono andare in panchina, basta essere chiari. Io ci sono andato tantissime volte».

Pensavamo a De Rossi e Zeman.
Sospira. «Ah, io pensavo mi voleste chiedere di Jovetic. Per una volta non ho capito la domanda in anticipo».

Dunque?
«Sono contento di non avere questo problema»

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