Il Giornale – Complotto anti-Baldini. Spunta Moggi

Rieccolo. Spunta il nome di Luciano Moggi (l’ex dg della Juve) nell’inchiesta su un presunto complotto in danno del dg della Roma, Franco Baldini. Gli eterni nemici ai tempi di Calciopoli si ritrovano su barricate opposte per un servizio delle Iene trasmesso ieri sera in merito a un presunto tentativo di screditare Baldini -stando all’ipotesi dei pm romani Filippi e Capaldo– ordito da tre indagati: il giornalista ex Messaggero, Roberto Renga; la voce radiofonica del tifo giallorosso Mario Corsi, alias “Marione”; il collaboratore di quest’ultimo, Giuseppe Lomonaco.

Le indagini puntano a fare luce anche sull’esistenza di un eventuale “mandante” dei dossieraggi rivelati dalla “iena” Paolo Calabresi, contattato dai tre, e infine anche da Luciano Moggi in circostanze definite “anomale” dagli inquirenti. Per capirne di più, oltre a rivedere il servizio andato inondaieri, occorre rifarsi agli sviluppi delle indagini. Che prendono forma nella prima decade di marzo quando Renga riferisce a Calabresi di documenti che comproverebbero l’ingerenza di logge segrete nella cordata americana subentrata alla famiglia Sensi. Un fatto di per sé grave, spiega Renga, perché i”cappuccioni” sarebbero, giust’appunto, Baldini e il consigliere di amministrazione Mauro Baldissoni. Lo dimostrerebbero alcuni sms riportati su foglio A4 dove, però, manca qualsiasi intestazione. Calabresi si insospettisce, ma Renga lo rassicura sull’attendibilità della notizia e soprattutto della fonte, che da bravo cronista non rivela. Nei messaggini trai due “massoni” si fa riferimento a logge e grembiulini. Il gergo utilizzato è da navigati liberi muratori: “Un triplo fraterno abbraccio”.

Calabresi si mostra scettico, Renga a quel punto taglia corto: “Puoi fare comunque un servizio sulla massoneria nel calcio oscurando i nomi”. Ma le carte sono buone? “Certo, arrivano dalla Digos”. Nella carte si fa riferimento a un personaggio che sarebbe stato nel mirino dei dirigenti giallorossi, proprietario di una Smart nera, e del quale si annotano i movimenti. Renga, mostrando l’auto parcheggiata, non fa mistero di essere lui quel “personaggio”. L’indomani Calabresi è contattato telefonicamente da Lomonaco che gli preannuncia “una cosa grossissima”. Dal collaboratore di Marione, la “iena” si sente raccontare la medesima storia solo chel’interlocutore si lascia sfuggire come il suo “capo” (proprietario pure lui di una smart nera) avrebbe messo le mani su quelle carte grazie ad alcuni “amici che lavorano nelle compagnie telefoniche”. Aggiunge che “Mario” è intenzionato a fare uscire la storia, senza comparire, e che le carte le hanno da tempo e ce l’ha pure Renga, di cui “Marione” si fiderebbe molto. A un certo punto il giornalista si accorge della telecamera nascosta. Cambia atteggiamento mostrandosi perplesso rispetto a ciò che prima definiva autentico. La chiacchierata finisce là.

Tempo due giorni e Corsi si fa vivo con Calabresi, spiegando che effettivamente adesso si sono accorti che quella roba “era una cazzata”. Passa una settimana e spunta Luciano Moggi. Telefona a Calabresi e lo riceve nell’ufficio del suo avvocato, racconta la “iena” a verbale. “Una chiacchierata surreale”. Nell’incontro si sarebbe parlato di tutto e di niente, tranne un riferimento fatto al figlio di Calabresi, autentico campioncino delle giovanili della Roma. Per i pm quest’incontro “anomalo” merita più di un approfondimento. Per Moggi, contattato dal Giornale, è un abbaglio: “Non so di cosa si stia parlando, figuriamoci se so di questi dossier. Quanto a Paolo Calabresi è lui che da tempo insiste per fare un’intervista dopo che una volta ci provò travestendosi da cardinale. Siccome l’ho trovato davanti all’ufficio del mio avvocato, l’ho chiamato, e ci ho parlato presente il legale. Non so nulla, assolutamente nulla”.

Nel frattempo la Roma era venuta a sapere di queste voci e aveva sporto denuncia. La Digos aveva perquisito gli indagati trovando le carte incriminate. Renga, Marione e Lomonaco si sono autosospesi, scegliendo il silenzio dopo aver giurato sulla loro assoluta buona fede. Calabresi è poi finito sei ore sotto torchio in procura dopo che i controlli sui tabulati (veri) dei cellulari di Baldini e Baldissoni avevano rivelato una gigantesca discrasia rispetto agli sms riportati nell’anonimo. Tra video e registrazioni l’inchiesta si è allargata ad altri giornalisti che avrebbero visionato il dossier. Complotto o non complotto, questo è lo stato dell’arte.

Il Giornale –  G.M. Chiocci / M. Malpica

PER APPROFONDIRE LEGGI ANCHE

I più letti