Il parametro Messi, la Roma senza paura misura i propri limiti

La Repubblica (F.Bocca) – La partita ai confini della realtà (The Twilight Zone, Ray Bradbury, serie tv 1959) comincia da qui, in questa quarta o addirittura quinta dimensione del Camp Nou, un mondo di fantascienza dove molti della Roma non hanno mai messo piede e si muovono adesso con circospezione, voglia di scoperta e anche una forte ansia addosso. L’inquietante presenza di Messi si sente ovunque, nell’area di rigore come nel ventre dello stadio: magari è il cameriere del bar col berretto che nasconde il terzo occhio da marziano.

Inutile nasconderselo, Barcellona-Roma è una partita su cui aleggiano vecchi e nuovi incubi. Che la Roma e Di Francesco scacciano dal presente, nemmeno ne parlano alla vigilia, ma che incombono sulla fossa dei centomila catalani. O meglio, come hanno scritto su certi manifesti retoric: “Centomila gladiatori che vi aspettano nel nostro Colosseo”. Esattamente 11 anni fa (aprile 2007) la Roma del primo Spalletti visse l’onta del 7-1 di Manchester, tonfo epocale e letterario (Valerio Mastandrea ci scrisse un poemetto: “Sì a papà, era sera, era aprile. S’era partiti pe’ n’impresa…”). Mentre Capitan Fracassa Rudy Garcia pilotò la squadra attraverso dei Roma-Bayern 1-7 (ottobre 2014) e Barcellona-Roma 6-1 (novembre 2015), che hanno segnato l’ultima generazione giallorossa. Una maledizione. Il limite umano della Roma.

E sono passati esattamente dieci anni da quando la Roma mise piede in un quarto di Champions. Il che traduce anche questo scontro col Barça di Messi e Valverde in qualcosa di difficile, forse insormontabile, ma anche storico. Insomma non è capitato spesso che la Roma arrivasse da queste parti. E allora che non sia il patibolo, ma una festa del calcio. Il Tenero Eusebio ha coraggiosamente e giustamente parlato di “spensieratezza”. «Che non significa come va va, intendiamoci. Non è rassegnazione, anzi. Ma voglio che i miei calciatori giochino liberi, che abbiano coraggio e osino». Non si potrebbe del resto dire molto di più, quando davanti hai Messi e Suarez che pedalano anche meglio senza Neymar in mezzo e con Coutinho in tribuna. E soprattutto un Barcellona che non prende più gol. Ibrido, italianizzato, oltre il guardiolismo, più perfetto della perfezione precedente. E che la Roma affronterà parecchio titubante, con i suoi acciacchi, dopo aver avuto i problemi suoi pure col Crotone e col Bologna.

L’impossibile compito di fermare Messi toccherà al suo connazionale Federico Fazio, che in tema “come si marca Leo?” se la cava con un surreale «non c’è solo lui cui pensare». Casomai non bastasse. Recuperato a forza il trattore Nainggolan – quasi impensabile una Roma senza di lui – l’allenatore è stato lì a giocare con qualche dettaglio minimo. Dove mettere Florenzi, dietro o avanti? E in attacco, accanto a Dzeko, Defrel, El Shaarawy o Gerson leggermente favorito? È stato lo stesso Di Francesco a dribblare il ridicolo: «Non lo dirò, ma tanto non credo che per il Barcellona faccia gran differenza». Il fascino di un match ai confini della realtà.

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