Il derby che lascia la Roma in mille pezzi e con un caso Totti

La Repubblica (M.Pinci) – Quando Totti attraversa la zona mista sfoggiando un broncio eccezionale, s’intuisce che soffia aria di burrasca. «Il mio ultimo derby? Lo dicono gli altri, io non dico niente… ». Pochi minuti prima la Roma aveva perso 3-1 contro la Lazio archiviando la corsa scudetto. Ma quello del capitano non è soltanto uno schiaffo al dg Baldissoni, che prima della partita aveva annunciato tra le righe il suo addio, mandandogli a dire che «Francesco vivrà ancora tanti derby da dirigente». È il mercurio che impazzisce nel termometro romanista, l’ultimo tuono in un mese nerissimo.

Spalletti era convinto di avere in mano «le chiavi per il paradiso», ora sente l’aria irrespirabile dell’inferno soffiargli alle spalle. C’è un campionato da chiudere davanti al Napoli, per non precipitare nell’incubo dei preliminari di Champions. Ma la squadra fatica a reggersi in piedi, a trovare nel motore i cavalli per raggiungere l’unico obiettivo percorribile: il secondo posto. Quando quasi due mesi fa perse col Napoli, la Roma riuscì a trovare nella riserva del serbatoio la forza per un assalto nervoso, che la portò a una traversa soltanto dal pari. Un mese più tardi, nel derby di ritorno di coppa Italia, salvò la faccia – a qualificazione già perduta – vincendo almeno la partita. Stavolta è rimasta inerme, esposta ai contropiede di Keita che potevano allargare il passivo all’infinito. Pure i nervi saltano: i laziali accusano De Rossi di un gestaccio alla panchina condito da labiale offensivo. Rüdiger s’è fatto cacciare tentando di spezzare una gamba a Djordjevic. Ora, tra le maglie di mille priorità, Pallotta dovrà trovare anche il tempo per discutere con Totti: è chiaro che per decidere dell’epilogo della propria vita sportiva, il capitano vorrebbe attendere ancora. E che la Roma non è dello stesso avviso e spinge per mettere il punto alla questione. Un appuntamento lo fisseranno: ora o a fine stagione.

Manca poco in fondo, 360 minuti soltanto. Ma a pochi metri dal traguardo i segnali di cedimento sono evidenti: 5 vittorie, 5 sconfitte, un pari e un successo inutile, dal 1° marzo a ieri. Ha giocato più di tutti la Roma – 50 partite contro le 49 della Juve difendendo la posizione che magari non vale la porta per il paradiso ma di certo porta in Champions. Vitale per i bilanci. E per le residue possibilità di permanenza dell’allenatore: il club in queste ore farà nuovamente pressioni perché si convinca, ma il dg ricorda velenoso che «la Roma sta già programmando, con o senza di lui». Quasi che adesso sia il club a volerci pensare. A parole, Spalletti rinvia qualsiasi decisione a fine stagione: «I bilanci fateli voi, io li farò tra quattro partite». La prima, domenica a San Siro, contro il Milan che non vince da quasi un mese ma che sul mercato sta provando a strapparle Kessié e Pellegrini. Spalletti lo affronterà con una squadra a pezzi: senza Rüdiger e verosimilmente senza Strootman, che dovrebbe pagare la simulazione del derby con due turni di squalifica dopo la prova tv. Niente Milan insomma, e niente Juventus sette giorni più tardi: quello scontro diretto che fino alle 12.30 di ieri pareva la chiave per credere ancora a un’utopia e che da ieri è il ritratto del rimpianto. O del timore di fermarsi ancora: farlo, a questo punto, può diventare letale.

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