Il carisma sulla panchina nel ventennale dello scudetto

La Repubblica (E. Sisti) – La prima vera mossa della Roma dei Friedkin è questa: hanno messo in panchina il carisma. Ossia tutto ciò che mancava a Fonseca, la cui Roma era la riproduzione di un malinconico “fado” che smaniava tra i solchi di un vecchio vinile, raccontando di un traguardo eternamente perduto perché eternamente irraggiungibile.

Ora la Roma riceve una botta di personalità. E di adrenalina. Ora la Roma va dritta nella storia, nell’anima del pallone. Mourinho torna in Italia proprio mentre la “sua” Inter si è ricucita addosso lo scudetto dopo il “suo” triplete di undici anni fa ed esattamente a vent’anni dal terzo scudetto giallorosso.

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Ma guarda un po’ che coincidenze. Guarda un po’ che buffo, che strano questo calcio che ruota attorno a sé stesso come una trottola impazzita, come se volesse farci credere che in fondo non è cambiato nulla. Magari fosse così. Invece è cambiato quasi tutto. E lo è anche dentro questo tecnico “speciale” che ha avuto il tempo di fare scandalo, di normalizzarsi e insieme di restare integro e profondamente legato al proprio istinto animale, quell’istinto col quale ha fiutato le occasioni salvo poi non riuscire più a sfondare come avrebbe voluto, benché strapagato.

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Mourinho ha scelto la Roma per dimostrare di non essere ancora pronto per allenare in Qatar? Ce lo dica lui, se è per questo: se è solo per allegare una giustificazione ai tanti esoneri delle ultime stagioni (Chelsea, United, Tottenham) e alle limitate gratificazioni o se invece è qui perché ha scoperto una luce, là in fondo al proprio bagaglio, che nemmeno lui sapeva di avere. Mourinho non è l’ultimo grido, lo sappiamo. Ma non lo era nemmeno Capello vent’anni fa.

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Va sfruttato per le sue doti, a costo di vedere un “pullman parcheggiato sulla linea di porta”. Può diventare Tarzan e trasportare la Roma da una liana all’altra del campionato. Roma che non poteva più macerarsi nel nulla, appoggiata sulle sponde di un fiume in secca. Roma che non poteva più limitarsi ad essere una squadra perbene, incapace di sussulti, dalla natura fragile, dagli attributi monta e smonta.

 

 

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