Il calcio come show rischia di cancellare il merito sul campo

La Repubblica (P. Condò) – Stavolta i tamburi di guerra che risuonano negli attici del calcio europeo non sembrano il solito modo per spostare un po’ più avanti il confine tra gli interessi delle grandi società e i doveri delle istituzioni regolatrici. Va così da trent’anni: sotto la spinta dei top club il format delle coppe viene ridiscusso ogni tre stagioni, le partite aumentano e la platea dei Paesi ammessi si restringe.

Non saremo così ipocriti da dire che si stava meglio quando si stava peggio: così com’è congegnata adesso, con 32 squadre fra le quali quattro iscritte per ciascuno dei quattro campionati più importanti, la Champions League è un torneo magnifico, e nella sua ombra l’Europa League è cresciuta fino ad aggiungere altre serate divertenti al menu settimanale. Ci sono margini di miglioramento ulteriore? Probabilmente sì. Ma non nella direzione sposata da dodici società fra le quali Juventus, Inter e Milan. La Superlega chiusa, riservata a 15 club fondatori fissi e altri cinque cooptati di volta in volta, cancella la qualificazione sul campo — e dunque il fondamentale concetto di merito — come requisito di partecipazione per tutti. Un vulnus inaccettabile.

Considerata la quantità di denaro fiabesca che è stata promessa agli scissionisti, sotto forma di bonus all’ingresso e poi di premi annuali, la piramide del calcio mondiale, già oggi molto ripida, diventerebbe una parete verticale senza appigli: niente più Atalanta, per dire dell’esempio più vicino, ma nemmeno Roma, Lazio, Napoli. Oppure Ajax, Porto, Marsiglia, Psv, Benfica: tutti club che la coppa con le grandi orecchie l’hanno vinta, alcuni più volte. Non solo.

I club in fuga giocherebbero comunque i campionati nazionali, ma se già i denari della semplice Champions hanno favorito le lunghe dominazioni (Juve, Bayern, Psg), quale competizione potrebbe mai esserci fra chi si porta a casa 300 milioni all’anno e chi 30? In tempi di crisi — il Covid è stato una bomba sulle macerie — occorrerebbe piuttosto razionalizzare i costi, introdurre qualche formula di salary cap, trasformare il Fair play finanziario (peraltro in fase di liquidazione) in un obbligo a redistribuire fra gli altri partecipanti il denaro speso oltre i limiti concordati (luxury tax).

Dietro al progetto Superlega c’è un player finanziario di primaria importanza, la banca americana JP Morgan, e alcuni degli studi legali più potenti del mondo: non sarà la generale contrarietà popolare a farli desistere. Uefa e Fifa hanno reagito alle indiscrezioni con estrema durezza, ventilando squalifiche ed esclusioni per i club e i loro giocatori. Difficile dire adesso se suoni più minacciosa per Messi l’esclusione dal suo ultimo Mondiale, o per il Mondiale la prospettiva che Messi non venga a tentare l’estremo assalto. Sono entrambe visioni così negative da suggerire l’inevitabilità di un accordo, ma il braccio di ferro in corso ne rende complicati i contorni.

 

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