Grazie. La lettera di Anna Giulia Ruggeri

Ciao,
questa è una delle cose più difficili, non solamente per il fracasso emotivo del momento, ma soprattutto perché non c’è lui a correggere quello che scrivo, a prendermi in giro perché “l’Italiano non è un’opinione” e a gongolarsi poi con i suoi colleghi dicendo “come scrive mia figlia?”. La cosa positiva però è che per una volta posso fare come mi pare, che poi l’ho sempre fatto, esattamente come lui. Siamo legati come un padre e una figlia certo, ma anche come due persone così simili e così diverse dall’essere l’uno ispirazione dell’atro e viceversa, lui di più. Avrei voluto fare questo discorso al suo funerale, ma non è possibile, e come avrebbe detto lui: “Embè che ti frega?!”.

Voglio ringraziare, senza retorica, tutte le persone che ci hanno scritto, chiamato, inviato fiori, messaggi e dirvi che vi stiamo leggendo tutti e vedere come papà abbia lasciato un segno indelebile nelle vostre vite ci fa capire ancor di più che niente finisce tutto si trasforma, oggi lui è dentro ognuno di noi con la sua unicità. Parliamoci chiaro papà era assoluto e adesso il vuoto è totale, ma lo riempiremo con la sua energia mentale e ironia. L’errore più grande che possiamo fare ora è dimenticare quello che ci ha insegnato: la lealtà, l’amore per la vita in tutte le sue forme, la testardaggine di chi non molla mai, la passione per le trattorie e per i ristoranti a cinque stelle, dove però “certo se voglio magiare non vado lì”.

Ho visto papà piangere due volte in trent’anni: una quando hanno salvato i bambini sotto alle macerie di Rigopiano, l’altra quando è venuta a mancare nonna. Credo che questo dica molto di lui, del suo legame viscerale con la vita e con la famiglia, del suo pudore. Il secondo dopo era tutto passato come sempre. Non ho mai visto papà triste. Non è stato facile essere sua figlia, come non lo è stato essere suo parente, amico o collega; non ha mai dato retta a nessuno, come quando decideva di fare una cena, all’incirca una a settimana, stabilendo lui giorno e ora, e se qualcuno non poteva, spesso per motivi di lavoro, era considerato il traditore della Patria e guai se proponeva di rimandare “no perché tutti possono quel giorno”. O quando ho deciso di andare a vivere da un’altra parte alla tenera età di 28 anni e lui considerava 3 km di distanza un’enormità come stessi a New York: “Ciao sono Massimo, ti ricordi chi sono? È un mese che non ti sento”. Oppure il giorno del mio primo bacio, quando è venuto a prendermi in spiaggia a 300 metri da casa, perché dopo una lunga trattativa a 00:01 non ero tornata: “Ero preoccupato”. La sua personalità dirompente a volte era disarmante. Quando però lasciavo la macchina lontana, che fossero le 9 di sera o le 5 di mattina, lui rispondeva sempre.

Sono spaventata, come lo sono tutte le persone che gli vogliono bene, i suoi amici, colleghi, quelli che ogni lunedì e giovedì lo vedevano in tv, che ogni domenica mattina lo chiamavano alla radio, ma ad ognuno di voi dico che la vita è una cosa troppo seria per non prenderla un po’ in giro e lui lo ha sempre fatto, anche nel morire così in un lunedì mattina con il Paese in piena emergenza Coronavirus.

Ieri davanti all’ospedale sono scesa a fumare una sigaretta, in quello che posso definire senza presunzione il giorno più brutto della mia vita al quale mi preparavo all’incirca da 30 anni, c’era Roma di una bellezza surreale, più del solito e non è facile, avevo davanti lungotevere con Castel Sant’Angelo illuminato da un sole pacato ma forte, e ho pensato ‘se riesco a vedere questa bellezza io oggi, nessuno può riuscire a non vederla’.

La vita di papà ha detto tutto, il suo essere sé stesso davanti e dietro le telecamere e la sua Roma ha risposto con affetto, con quell’attaccamento che ti fa sperare in un gol all’ultimo minuto che rimette tutto apposto, quello di “quando la passione diventa vero amore”. Sono orgogliosa di essere sua figlia. Se ce la faccio io, ce la facciamo tutti.

Grazie,

Anna Giulia Ruggeri

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