Gerson, bluff o incompreso? Non lo sa neppure Lucio

Il Messaggero (M.Ferretti) – Parafrasando Jessica Rabbit, il malinconico Gerson potrebbe dire: «Io non sono un pippone, è che mi disegnano così». Perché, a guardar bene la faccenda, il meno colpevole è proprio lui, Mister 18 milioni, il nipotino di Andrade, quello che «se non vi sta bene, me lo porto dove andrò a lavorare» (cit. Walter Sabatini). Non ha colpa il giovane brasiliano dal volto perennemente accigliato se la Roma per portarlo a Trigoria ha speso tutti quei soldi; non è colpa sua se Luciano Spalletti, che avrebbe preferito fin dalla passata stagione u parcheggio in provincia, una volta lo mette a centrocampo, un’altra al posto di Salah e molte altre ancora lo fa accomodare in panchina. Non può essere (solo) colpa sua se, dopo mesi di Roma, nessuno (sì, nessuno) ci ha ancora capito qualcosa. In primis, se Gerson è un bluff oppure un incompreso. O semplicemente un ragazzo che ha qualità ma che non valeva (vale) tutti quei soldi. Perché ogni giudizio sul suo conto è condizionato dai milioni che Sabatini ha girato in Brasile pur di fregarlo, dicono, al Barcellona. Intanto, critici e tifosi nei suoi confronti non sono mai sereni, scevri da condizionamenti economici. Da lui, per via di tutti quei soldi, ci si aspettava, e si aspetta, che vinca da solo le partite. Come se in giro per il mondo ci siano tre o quattro Messi e altrettanti Cristiano Ronaldo. Qui, e questo deve essere chiaro, non si sta parlando del nuovo Falçao, forse neppure dell’erede di Marcos Assunçao ma sarebbe opportuno non etichettarlo già come il più fragoroso flop della storia recente della Roma. E non soltanto perché Gerson sarebbe in ampia compagnia. Come si fa, ora, a dare un giudizio definitivo sul suo conto? Impossibile farlo, se non si vuole abbandonare la via dell’onestà intellettuale.

LE ETICHETTE – Per valutarlo compiutamente serve vederlo in campo con continuità e nel suo ruolo. Se è lento, è compito dell’allenatore sfruttarlo al meglio nonostante quel difetto; se non va mai in profondità idem; stessa cosa se ama toccare e ritoccare il pallone. Se poi tutti gli sforzi dovessero rivelarsi vani, allora ok: prego, si accomodi all’uscita. Stretta di mano e via dalla Roma. Qualsiasi altro atteggiamento oggi sarebbe sbagliato. E, forse, dannoso. Roma è città maestra nel regalare patenti di ogni tipo: ci sono quelli bravi a prescindere e quelli scarsi anche se fanno cantare il pallone. Gerson è uno che si avvia a beccarsi (se già non se l’è beccata..) un’etichetta e a non togliersela mai più dalle spalle, se si continuerà a chiedergli ciò che per lui adesso è impossibile. Certo, il ragazzetto deve fare molto di più ma, dite, si può chiedere a Szczesny di segnare due gol a partita? Ad un portiere si chiede di evitare di prender gol, non di segnarli: il problema vero è che non si è ancora capito cosa chiedere a Gerson. Colpa (solo) sua?

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