Di Francesco: «Roma, fidati di me»

Il Messaggero (A.Angeloni) Teso, tesissimo. Almeno per un quarto d’ora della presentazione da allenatore della Roma, il motore è ingolfato. Comprensibile: Trigoria era ed è tornata la casa di Eusebio di Francesco che rivive oggi quello che ha vissuto nel 1997, quando la Roma ne annunciò l’arrivo con i riflettori spenti. Un parametro zero dal Piacenza all’epoca, un tecnico che arriva dalla provincia ora. Che ti vuoi aspettare? L’atmosfera esterna viaggia sul filo della diffidenza, ma dentro Trigoria torna qualche sorriso in più. Meno tensione, meno arroganza. E questo è un bel punto di partenza e quella diffidenza pian piano dovrà trasformarsi in attesa, studio, fiducia, e magari successo. Questo il suo compito. Auguri.

MIRACOLIDi Francesco viene da un miracolo in Emilia, dove ha lavorato bene portando il Sassuolo in Europa. Record quello e record quello della Roma nell’ultima stagione. Sempre di record si tratta, e allora perché questo scetticismo? Eusebio parla semplice, non è verboso, chiede «umiltà ed entusiasmo» e «senso di appartenenza» nella giornata della sua presentazione. Non si fanno proclami, non si cerca l’applauso o minacce di (futuribili) scontri. Quest’anno si parte a fari spenti e non è detto sia un’arma perdente. Fidatevi di me, in pratica va dicendo il nuovo allenatore; fidatevi di me perché ho il sostegno della società e perché sono stato scelto per le mie idee e se mi seguirete… Tira fuori il muscolo quando si parla di Nainggolan e si accenna al recente passato. «Spalletti lo ha messo trequartista? Anche da mezzala può fare diciotto gol. Io sono stato scelto per il mio calcio ed è giusto che lo trasmetta». Chiaro, no? Non vuole essere chiarissimo su Florenzi, perché – dice – vuole allenarlo ma fa capire di come sia attratto «dalle sua capacità di attaccare la porta». Ad oggi, quindi, più offensivo che difensivo, ma si vedrà. Eusebio ammette anche di volere «specificità nei ruoli». Come a dire: va bene la duttilità, ma gli attaccanti facciano gli attaccanti e i difensori i difensori. Paredes? «E’ un centrale da 4-3-3»; Strootman? «Una mezzala»; Peres? «Lo tengo in considerazione, ogni calciatore merita una possibilità». Di Francesco non si sbilancia sugli affari di mercato ma fa capire la sua cotta calcistica per Berardi, «un giocatore di altissimo profilo». Si risente un po’ quando gli chiedono se gli acquisti li subisce o li determina. Chiamasi aziendalismo. «Io e il club non siamo due entità separate. Insieme cercheremo di mettere su una squadra molto forte… vero diretto’ (rivolgendosi a Monchi, a due centimetri da lui ndr)».

ROMANISMO E AMBIENTE – Parlando di senso di appartenenza si tirano fuori due discorsi paralleli. 1) Il romanismo. 2) Il famigerato ambiente romano, che Eusebio conosce bene e sa benissimo di quanta fretta/voglia abbia di vincere. L’emblema del romanismo – secondo Di Francesco che ha ammesso che «vestire la maglia della Roma è unico» – è Daniele De Rossi. «La prima persona che ho chiamato. Mio figlio gioca nel Bologna e quando gli hanno chiesto chi fosse il suo idolo ha risposto De Rossi, perché è il primo che quando un compagno segna corre ad abbracciarlo e questa è un’immagine da trasmettere. Credo sia un punto di riferimento per me e per la squadra, al di là se sarà titolare o meno». Ecco poi, sull’ambiente. «Tanti problemi non me li pongo. La cosa più importante è creare compattezza. Sapendo che questo può essere un ambiente particolare, difficile, chiamatelo come volete, ma sono sereno nell’affrontare questa avventura. Non voglio fare proclami, dobbiamo avere un profilo basso: ho parlato di umiltà nel lavoro, da questo possiamo arrivare ovunque. So quali sono le speranze delle persone. Ci toglieremo grandi soddisfazioni. Credo di poter trasmettere i valori di quest’ambiente, voglio trasmettere entusiasmo che deriva dai nostri comportamenti, dall’essere vicini alla gente, dall’essere sinceri e facendo risultati che sono alla base del calcio. Magari anche facendo divertire».

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