Floris: «Amo sia Totti sia Spalletti. Devono restare insieme»

Giovanni Floris

La Gazzetta dello Sport (G.Mancini) – Chi erano gli Shardana? Antichi guerrieri sardi, navigatori ribelli, ma animati da un sentire comune. Come i tre protagonisti del libro La prima regola degli Shardana, scritto da Giovanni Floris (Feltrinelli), giornalista, scrittore e tifoso romanista: Giuseppe, giornalista, stanco di essere considerato vip; Raffaele, imprenditore fallito con ansia di riscatto; Sandro, attore mancato e stralunato, uniti da un’amicizia profonda, quella inossidabile dell’adolescenza vissuta in Sardegna. I tre e Michela, bella e saggia sorella di Sandro, tra mille peripezie, amori, e ricatti ritorneranno al paesello dell’Ogliastra, Prantixedda Inferru, per fondare una sgangherata squadra di calcio e puntare alla Coppa Sarda, ma soprattutto per riposizionarsi nella vita. Una commedia spassosa che ha vinto il prestigioso premio «Letteratura del calcio Antonio Ghirelli» per la narrativa.

Floris, perché ha scelto il pallone come filo conduttore?
«Perché era la passione dei protagonisti, non sintonizzati sulla vita mentre ricercano il passato e la gioventù. Un’avventura per ricalibrare le emozioni, a volte grottesca come quando Giuseppe, che ci tiene a fare bella figura da calciatore, accusa il colpo della strega, ma continua a far gruppo e ad essere propositivo: in fondo – sorride – scoprire di avere cinquant’anni non è una maledizione».

Che cosa c’è di autobiografico?
«Non sono il personaggio del giornalista. Di autobiografico ci sono la mia età, i miei occhi che vedono la scena politica, e la Sardegna, dove torno spesso. Mio padre era nuorese, come Raffaele, racconto una Sardegna dalla natura netta e aspra, sarcastica».

Lei ha giocato a calcio?
«Sì, con umiltà. Centravanti piccolo e veloce, gioco ancora nelle partitelle di calcetto al gelo».

Nel libro c’è anche Franco Selvaggi, detto Spadino, campione del mondo ’82, nel ruolo di allenatore.
«Centravanti rapido, come Paolo Rossi e Butragueño. Ha vinto il Mondiale senza giocare e senza andare neanche in panchina, fu importantissimo per il gruppo, incarna il senso del libro. E poi era il mio idolo da ragazzino».

Racconti.
«Ero troppo piccolo per vivere direttamente il mito di Gigi Riva che mi raccontava mio padre. Il mio Cagliari era quello di Virdis-Selvaggi-Piras, a cavallo degli anni Settanta-Ottanta, e una volta chiesi a Spadino anche l’autografo, emozionato. Dopo un Lazio-Cagliari ricordo che me lo fece anche Quagliozzi».

E il tifo per la Roma quando è nato?
«Ai tempi di Falcao e Bruno Conti, la Roma dello scudetto ‘83 e quella che perse ai rigori contro il Liverpool. Un miscuglio di emozioni».

Come ha vissuto il confronto tra Totti e Spalletti?
«Totti è la Roma e di Spalletti ho molta stima. Fortunatamente lo scontro mi sembra riassorbito, è giusto che stiano insieme per il bene della Roma».

È il concetto degli Shardana, ma per conoscere la prima regola dovrete arrivare all’ultima pagina.

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